Un caffé programmato da tempo che però arriva proprio il giorno dopo che Matteo Renzi ha archiviato il ventennio dell’Ulivo. Eccoli finalmente uno di fronte all’altro, il premier e Romano Prodi, il capo delle due coalizioni che sconfissero Berlusconi per poi restare dilaniate dai conflitti interni. «Un caffé e una chiacchierata di un’ora su politica internazionale, Libia - Renzi avrebbe negato di essersi opposto ad un suo ruolo di mediazione nell’area -, Ucraina ed economia europea»», spiegano da Palazzo Chigi.Secondo i report di governo il tema della successione di Giorgio Napolitano non sarebbe stato affrontato, né tantomeno la ferita dei 101 (tra i quali in molti sospettarono la presenza di renziani) che impedirono proprio a Prodi di salire al Colle nel 2013. Ma appare inevitabile che i due si siano chiariti sulla frase che Renzi ha pronunciato domenica all’assemblea Pd («Contesto il racconto mitologico dell’esperienza dell’Ulivo, mandata a casa da nostri errori. È tempo di realizzare quelle promesse, recuperando 20 anni persi a discutere»), che a molti è parsa una bocciatura preventiva della candidatura di Prodi per il Quirinale.L’incontro, svoltosi davanti al "mediatore" Graziano Delrio, è stato abbastanza formale. Non sfugge a Prodi la difficoltà di raccogliere numeri veri intorno al suo nome («Sono fuori dai giochini politici, poi se dovesse cambiare qualcosa...»), ma il premier, incontrandolo ufficialmente, lo conserva nella mischia pur senza prendere impegni («Fosse solo per me ti candiderei domattina, devi essere anche tu a farmi capire se hai il sostegno necessario...»). Il "perché" della mossa del premier è presto detto, ed è tutto nelle reazioni stizzite di Forza Italia, nonché negli applausi che Bersani e l’intera minoranza dem rivolgono al premier per la scelta di vedere un padre nobile del Pd. Insomma, Prodi spaventa Berlusconi e tiene unito il Pd. Qualche consigliere del premier si azzarda a ipotizzare che Renzi abbia chiesto al professore di dargli una mano nella partita del Colle, agendo da grande elettore, per poi correre con il favore di Italia e Ue alla segreteria generale Onu. Se poi in Parlamento il Pd (unito) avesse bisogno di rifugiarsi in una alleanza con M5S o pezzi di ex pentastellati, allora davvero Prodi potrebbe essere il primo della lista.Una cosa è certa: Romano Prodi vuol dire mettere in crisi l’alleanza con Ncd e archiviare il Patto del Nazareno. Un’ipotesi ora azzardata ma domani chi lo sa. Lo fa intendere bene in serata Maria Elena Boschi, descrivendo da Bruno Vespa il metodo che ha in mente Renzi: «Il Pd sceglierà un nome al proprio interno che poi presenterà agli altri. Fi o M5S? Vedremo, sulle nomine dialoghiamo con tutti». Nessuna preclusione. Anzi, arriva anche una sorta di invito a Prodi a non essere «diffidente»: «Non è giusto tirarlo per la giacchetta visto come è stato trattato, ma non ripeteremo quella figuraccia». Anche se, va detto, il fatto che il Pd faccia un suo nome non è antitetico all’accordo con Berlusconi (si pensi a Pierluigi Castagnetti, tenuto finora ben protetto).Tutto, nella giornata politica del premier, fa trasparire la priorità di ricompattare il Pd. I primi resoconti del fidato Luca Lotti dicono che sullo scacchiere per il Quirinale per ora Berlusconi può mettere solo 60 voti sicuri, molti meno della minoranza democratica. Perciò i messaggi di avviso all’ex Cavaliere sono molteplici: Boschi conferma di preferire il Mattarellum come legge di salvaguardia in attesa che entri in vigore l’Italicum, e Renzi ha fissato a domani mattina un incontro con i senatori Pd sulla legge elettorale per sbloccare l’impasse. Si ipotizza l’incardinamento del testo in Aula senza mandato al relatore per dribblare i 18mila emendamenti, ma anche una proposta nuova: fissare all’1 gennaio 2017 (non 2016) la data di entrata in vigore dell’Italicum. Oggi intanto al premier riferisce alle Camere in vista del complicato Consiglio Ue di giovedì e venerdì: e sarà, secondo le previsioni, un affondo contro la nuova morsa rigorista di Juncker e Merkel.