martedì 9 settembre 2014
I ministri: scegliamo noi. Giallo sul futuro del commissario. Piano del governo: spese per le riforme fuori dal tetto del 3%. Dai dicasteri 8 miliardi. Il Tesoro: effetto-riforme fra 3 anni.
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Il momento delle scelte è arrivato. Sia per il governo, che deve individuare i 20 miliardi di tagli necessari per coprire la legge di stabilità. Sia per Carlo Cottarelli, il commissario alla spending review che scalpita per tornare al Fondo monetario e lasciare uno scomodo ruolo tecnico che il premier non ha mai accettato fino in fondo. Ieri Matteo Renzi, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e l’ex dirigente Fmi hanno avuto un lungo e teso vertice protrattosi fino a sera per capire dove usare le forbici. Un incontro che prepara la sfilata di ministri prevista domani a Palazzo Chigi, dato che un pezzo forte della manovra sarà un taglio secco del 3 per cento ai singoli dicasteri.La disponibilità politica dei ministri a segare i propri budget c’è, ma ad un patto: che le scelte siano politiche, e che non siano dettate da Cottarelli. Quindi il commissario alla spending dovrebbe dare ad ogni ministro un dossier come sussidio, come sostegno, ma senza vincoli. «Decide la politica», ripete come un mantra dal suo insediamento lo stesso Renzi. È per questo motivo che ieri il vertice a tre a Palazzo Chigi è sembrato, a qualcuno, il passo d’addio di Cottarelli, una sorta di "consegna" del lavoro svolto. In serata, però, il Tesoro frena: «Sono lì chiusi a lavorare e a decidere il presente e il futuro della spending, non di Cottarelli...», dicono fonti vicine a Padoan.La stretta sui dicasteri vale circa 8 miliardi. Altri 3 potrebbero venire dalla riduzione degli incentivi alle imprese. Poi c’è il capitolo spinoso degli stipendi bloccati degli statali e delle forze dell’ordine: Renzi ha chiesto a Cottarelli e Padoan se ci sono margini per evitare la stretta sulla sicurezza, individuando nello stesso comparto risparmi altrettanto certi. Altro punto caldo, inserire o meno le partecipate in legge di stabilità. Padoan e Cottarelli spingono, Renzi non ne è pienamente convinto. E per non restare in "minoranza", ieri il premier ha chiesto la partecipazione al vertice del ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi e del suo consigliere economico Yoram Gutgeld.Le decisioni, in realtà, arriveranno dopo aver fatto chiarezza sui dati macroeconomici, Pil in testa. Un indizio arriverà oggi, con l’Istat che pubblicherà il Prodotto interno lordo 2011 rivisto alla luce dei nuovi criteri che comprendono tra i fattori di crescita anche proventi da droga e prostituzione. Sarà un test per capire se i dati del 2014 cresceranno in misura sufficiente da dare respiro al debito pubblico e al rapporto deficit/Pil. A restituire l’idea di ristrettezza dei conti ci ha pensato ieri, per l’ennesima volta, Padoan: «Speriamo non ci sia una terza caduta del Pil», dice il ministro pensando agli effetti negativi di un nuovo segno "meno" sul rispetto dei patti Ue. Il timore sulla sostenibilità dei conti si evince anche dal fatto che il Tesoro non chiude per nulla alla necessità di procedere con le privatizzazioni, nonostante Renzi tiri il freno.Ma c’è un altro punto che Padoan esterna con una certa franchezza: «Occorrono minimo 3 anni per avere risultati visibili dalle riforme strutturali». Poche settimane fa, il Tesoro aveva fissato in 2 anni il tempo entro cui le riforme avrebbero iniziato a spingere il Paese. Evidentemente i prossimi mesi annunciano tempesta. Ciò rende sempre più urgente la partita con Bruxelles sulla flessibilità. Venerdì e sabato c’è un Ecofin informale, dunque non decisionale, in cui Padoan porterà una proposta concordata con il premier: un centro di monitoraggio europeo delle riforme, che assegnerà margini economici in base all’attuazione concreta dei provvedimenti. Non si tratta di un "direttorio" che scrive le riforme per conto nostro, ma di un organismo che attesta gli avanzamenti. Padoan e Renzi ci pensano in relazione alla riforma del lavoro, molto contrastata politicamente e che comporterà nei primi anni maggiori spese. Una riforma «cardine» - così torna a definirla il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi - sia per gli effetti sull’economia sia per la credibilità del Paese. L’idea è che quelle spese d’attuazione andrebbero scorporate dal deficit. Così come dovrebbero essere scorporati, è un’altra ipotesi del Tesoro, i costi della cig in deroga.Ovviamente non è questo l’unico criterio di flessibilità di cui si parla, ma è forse quello più significativo. «La riforma del lavoro è il punto cardine», ha ribadito ieri il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Dunque sono vietati altri «indugi e frammentazioni». È quanto chiede pure la Bce all’Italia. Anche su questo punto, però, il Tesoro predica prudenza. A Milano, si spiega, i ministri parleranno soprattutto di un altro ingrediente essenziale per la crescita, il fondo per gli investimenti da potenziali 700 miliardi che metta in gioco Bei e tutte le Casse depositi e prestiti. E a proposito di investimenti, oggi è prevista la firma di Napolitano sul decreto sblocca-Italia.
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