«I margini ci sono, l’Europa sa che deve cambiare. Ma al primo errore sono pronti a ritirare il credito. Faccio un esempio: se non aboliamo le province, se facciamo saltare il ddl Delrio, Bruxelles dirà "Ecco la solita Italia che promette e non fa". Vale per la legge elettorale, la riforma del Senato, il titolo V...». Matteo Renzi tira il fiato dopo una giornata stressante, in cui l’inflessibile ritualità comunitaria ha messo a dura prova i suoi nervi. Ma il bilancio, a tarda sera, resta positivo: «A luglio, quando vedranno un’Italia nuova, parleranno eccome del 3 per cento. Ci sono 17 Paesi che non lo rispettano. I nostri interlocutori – dice commentando le voci di dissonanza con Barroso – sono i Paesi fondatori e non i tecnocrati».L’assalto al rigore comunitario ha segnato, al momento, una battuta d’arresto. L’Italia, prima di incassare benefici, deve mostrare i fatti. Dunque l’utilizzo dei residui di deficit per finanziare parte della riduzione delle tasse è tramontato: gli 85 euro in busta paga saranno finanziati con la spending review, il risparmio proveniente dalla discesa dello spread e dalle maggiori entrate Iva legate al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. È necessario agire così per mostrare che l’Italia sa ridurre le tasse senza indebitarsi.A fronte di questa garanzia, però, Renzi vorrebbe una risposta positiva di Bruxelles su un altro tema: lo scorporo dal Patto di stabilità di parte del cofinanziamento ai fondi strutturali e delle risorse destinate a scuola e dissesto idrogeologico. Un piano - in realtà più volte presentato dai precedenti esecutivi e solo parzialmente accolto dall’Ue - che Renzi ha confidato ieri mattina ai governatori e ai sindaci ricevuti prima di partire. La partita dei fondi, non posta ufficialmente nel vertice con Barroso, non è priva di conseguenze. Se Bruxelles offre lo scorporo, allora il possibile uso dei decimali di deficit che ci separano dal 3 per cento (ora siamo a 2,6) servirà per altre spese.La trasferta a Bruxelles è decisiva per capire come impostare il Def, il Documento di economia e finanza da presentare entro il 10 aprile e che ridisegna le proiezioni 2014 del Pil, del deficit e del debito. L’interrogativo non è solo se il governo alzerà subito il disavanzo dal 2,6 al 2,8. Renzi confermerà la crescita del Pil all’1 per cento prevista da Letta? O si assesterà sulle stime europee (0,5-0,6)? Se il Pil viene rivisto al ribasso i margini sul deficit si riducono ancora. La tentazione di confermare l’1% contando sulla ripresa dei consumi è forte.