Si è morso la lingua un giorno. Ma
non quello dopo. Matteo Renzi ha chiuso domenica la Leopolda con un
intervento durissimo contro la Cgil e la minoranza Pd tra
applausi da stadio dei partecipanti alla kermesse.
"Il posto
fisso non c'è più" attacca il premier accusando chi
difende l'art.18 di essere fuori tempo, come chi "mette il
gettone nell'iPhone". E il futuro per il rottamatore è arrivato
anche
nel Pd: la nuova guardia renziana "non restituirà un
partito del 40% ai reduci che l'hanno lasciato al 25".
Altrimenti, avverte, "non ho paura se si crea qualcosa di
diverso a sinistra".
Nella giornata clou dell'iniziativa renziana, il lavoro è al
centro: quello che c'è o si inventa, come dimostrano le tante
storie piccole e grandi raccontate sul palco. Ma anche quello che
non c'è o si rischia di perdere, secondo il grido d'allarme
lanciato dai lavoratori Meridiana o dalla delegazione dell'Ast
di Terni, che Renzi incontra e rassicura. Ma è nell'intervento
conclusivo che il premier sfida chi sabato è sceso in piazza a
Roma. E dichiara "guerra" ai tanti, intellettuali come
euroburocrati, che "credono che l'Italia non ce la farà e non
vedono l'ora di vedere il nostro fallimento". Gufi che, è sicuro
il premier, "al traguardo ci vedranno perché avremo la maglia
rosa". Perché, "se il governo è una bicicletta che ci siamo
andati a prendere, non è per scaldare una sedia ma per cambiare
il paese". Nello spirito anche un pò giocoso della Leopolda ma,
assicura il "ragazzo" diventato premier, "prendendoci
terribilmente sul serio".
Nella "madre di tutte le battaglie", come Renzi chiama lo
scontro in atto sull'art.18, si contrappongono due mondi
opposti. E il premier non sembra intenzionato a conciliarli. "Il
precariato non si combatte organizzando manifestazioni o
convegni", accusa chiedendo un "cambio di mentalità" alle
imprese e nuove regole del gioco. "Di fronte al mondo che cambia
a questa velocità, puoi discutere quanto vuoi ma il posto fisso
non c'è più", è la convinzione del presidente del consiglio.
Quindi, è l'interrogativo, "un partito di sinistra che fa: un
dibattito ideologico sulla coperta di Linus o chi perde il posto
di lavoro trova uno Stato che si prende carico di lui?".
Alle accuse di fare politiche di destra, Renzi risponde con
la sua visione di una nuova sinistra. E affonda: "Nel 2014
aggrapparsi ad una norma del 1970 che la sinistra di allora non
votò è come prendere un iPhone e dire dove metto il gettone del
telefono? O una macchina digitale e metterci il rullino. È
finita l'Italia del rullino". Un attacco degno del rottamatore
che non convince affatto la leader Cgil
Susanna Camusso che
ribatte: "Renzi non ha argomenti per contrastare le cose che
abbiamo detto ieri". Ma il premier è convinto di aver ragione.
Al punto di non temere che "si crei a sinistra qualcosa di
diverso" perché "sarà bello capire se è più di sinistra restare
aggrappati alla nostalgia o provare a cambiare il futuro".
La conta si farà, lascia intendere il leader Pd alle urne.
Ma, avverte, "tutte le volte che hanno cercato lo strappo hanno
perso loro". Un avviso neanche troppo velato a chi sta con
difficoltà dentro il suo Pd.
Rosy Bindi e l'attacco alla
Leopolda "imbarazzante" sono il simbolo di un partito che non
c'è più e non tornerà. "Non consentiremo a quella classe
dirigente di riprendersi il Pd per riportarlo dal 41% al 25%. Il
Pd non è il partito dei reduci ma del futuro". L'unico della
"vecchia guardia" a cui Renzi esprime riconoscenza è il Capo
dello Stato
Giorgio Napolitano, al quale "va tutto il nostro
affetto per le tante menzogne che sono state dette nei sui
confronti". "È doveroso - aggiunge - che l'Italia per bene sia
con lui". I veterani del partito, invece, sono chiamati a
scegliere da che parte stare.
La sinistra dem da parte sua non alza bandiera bianca. L'avvertimento giunto dal palco della Leopolda rischia di imbavagliarla
ulteriormente all'interno del partito, restringendo anche i
margini di manovra in Parlamento, in vista di un'eventuale
fiducia sul Jobs Act. Ma una resa, dal punto di vista della
minoranza, oggi si concretizzerebbe in una scissione dal
partito, dando così campo libero al segretario. E questa, è il
punto della sinistra Dem, e "una concessione che non faremo".
Le parole di Renzi tagliano la domenica del
post-manifestazione della Cgil come un lama affilatissima e non
lasciano dubbi sul fatto che, per la minoranza, le chance di
influire su legge di stabilità e Jobs Act saranno pochissime. La
partita, poi, è generale. Riguarda la gestione di un partito che
è apparso spaccato in due. Ed è qui che la minoranza sceglie la linea più dura.
Il
premier ci vuole fuori? "Se lo tolga dalla testa, resteremo nel
Pd per restituirgli la sua vocazione di grande partito della
sinistra e per costruire un'alternativa nel Pd che possa
affermarsi nel prossimo congresso", assicura il bersaniano
Alfredo D'Attorre, interpretando il pensiero di un'area che a
Piazza San Giovanni, contava molti protagonisti. "Occorre dare risposte concrete, serie non rispondere con
battute e slogan vuoti, che hanno ormai fatto il loro tempo",
incalza D'Attorre, trovando
Stefano Fassina sulla stessa linea.
Parlando in diretta tv, da quello zoo che, in chiave Leopolda,
in questi giorni era diventato quasi un tormentone ("Devo andare
allo zoo non posso andare alla Leopolda"), l'ex viceministro
afferma che, se Renzi volesse la scissione, "sarebbe un problema
per tutto il Pd". Poi attacca: "Il Pd non sia un partito di
finanzieri", mentre sul Jobs Act avverte che "senza cambiamenti
radicali, non lo voterò". E proprio sul Jobs Act, e su
un'eventuale richiesta della fiducia da parte del governo, la
sinistra Pd rischia di trovarsi di fronte al bivio più cruciale.
L'obiettivo, per ora, è cercare di negoziare su alcuni punti
chiave, come il disboscamento dei contratti dei precari o il
controllo a distanza, oltre che sulla questione principe
dell'art.18. I tempi non si preannunciano brevi, e il pericoloso
incrocio a Montecitorio con la legge di stabilità rischia di
allungarli ulteriormente. Nel frattempo, per la minoranza Dem,
il sostegno arriva solo da sinistra. "Renzi archivia la
differenza tra destra e sinistra. Gli basta la destra", twittava
ieri
Nichi Vendola.