Sono ai nastri di partenza, ma restano fermi. Un giovane su quattro tra i 25 e i 34 anni è inattivo, cioè non cerca lavoro perché convinto di non trovare un’occupazione in linea con il suo percorso di studi e le sue aspettative. Un esercito di quasi 1,6 milioni di persone che non possono definirsi né disoccupati né inoccupati. Forse il termine corretto sarebbe “scoraggiati”. La percentuale del 25,4% è la più alta in tutta Europa dove la media si ferma al 15%. L’allarme, l’ennesimo, arriva da un rapporto presentato ieri a Roma alla Convention annuale dei Giovani Imprenditori di Confartigianato. La situazione è peggiorata negli ultimi decenni: nel 2004 il tasso di inattività era il 21,9%. Il gender gap in questo caso è ai massimi livelli: le donne sono il 65,9% del totale. Tra gli inattivi in possesso di una laurea, che sono ben 468mila, i due terzi sono donne. Altrettanto sbilanciata la distribuzione territoriale: il 55,6% degli inattivi under 35 si concentra nel Mezzogiorno, dove il tasso sale al 37,7%.
Ma non è tutto. All’Italia spetta un altro primato negativo, quello dei Neet, giovani che non studiano e non lavorano. Alcuni sono anche inattivi, altri un lavoro lo cercano ma senza risultato, una parte ha abbandonato la scuola senza diplomarsi. Un serbatoio di 3 milioni di ragazzi tra i 15 e i 34 anni che per una buona parte coincide con quella degli inattivi mappati da Confartigianato. L’Eurostat ha diffuso ieri i dati relativi anche in questo caso allo scorso anno. L’Italia è prima nell’Eurozona (seconda nella Ue dietro alla Romania) con una percentuale del 19%, seguita da Grecia e Bulgaria, per la fascia d’età 15-29 anni. A fronte di una media europea dell’11% in forte diminuzione rispetto ai livelli record toccati nel 2013 (16,1%). «I giovani sottolinea Davide Peli, presidente dei Giovani Imprenditori di Confartigianato - sono il futuro del made in Italy. Ma 1,6 milioni di under 35 fuori dal mercato del lavoro rappresentano un assurdo “spreco”, una vera e propria emergenza da affrontare rapidamente». Il rapporto analizza anche la situazione a livello regionale, con l’indice dei territori youth-friendly per impresa e lavoro. La Lombardia è la regione che offre ai giovani le condizioni migliori. Seguono poco distanti Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige. Maglia nera, invece, al Mo-lise, insieme a Sardegna, Calabria, Sicilia e Basilicata. Tra le province il terreno più fertile è a Cuneo, seguita da Bergamo e Vicenza, le condizioni più difficili invece ad Isernia, Foggia e Vibo Valentia. L’Indice di Confartigianato si basa su 13 indicatori che comprendono, oltre al tasso di occupazione, la presenza di giovani imprenditori, la collaborazione scuola-imprese, la diffusione dell’apprendistato, il saldo migratorio dei giovani verso l’estero o altre regioni. «Questa Italia “a diverse velocità” per l’ambiente che circonda i giovani è all’origine di un nostro record negativo in Europa» conclude Peli.
Vista dalla parte delle aziende la situazione assume un’altra prospettiva. Il lavoro c’è, almeno in determinati settori ad alta specializzazione come ingegneria informatica, analisi dei dati ed esperti in controllo di gestione, o in ambito manifatturiero, dagli operai metalmeccanici a camerieri e bagnini. Secondo una rilevazione di Assolavoro Datalab, l’osservatorio dell’associazione nazionale delle agenzie per il lavoro, entro luglio ci saranno oltre 160mila opportunità in somministrazione. Contratti a tempo o stagionali, soprattutto nel settore del turismo, ma con buone prospettive di riconferma. Il problema è proprio il disallineamento (il famoso mismatch) tra offerta e domanda. Tra il lavoro che c’è e quello che si vorrebbe non solo in termini di mansioni ma anche di retribuzioni e condizioni. Un aiuto per uscire da questa situazione di impasse che da anni ingessa il mercato del lavoro giovanile, arriva dalle cooperative che rappresentano uno strumento per ridurre le diseguaglianze e rimettere in moto l’ascensore sociale. Al festival dell’Economia di Trento, Anna Manca, presidente Commissione dirigenti cooperatrici e Confcooperative, ha parlato del ruolo che hanno le cooperative nel ridurre le disparità di genere, le donne rappresentano circa il 61% degli occupati con una presenza maggiore al Sud, ma anche di creare nuovi modelli occupazionali.