Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il presidente del Consiglio, Mario Draghi (a destra) - Ansa
Solo una persona potrebbe provare a convincere Sergio Mattarella a restare dov’è, ed è proprio Mario Draghi. Con quante possibilità? Poche, pochissime. Nessuna, a giudicare dagli "scatoloni" in preparazione con anticipo al Quirinale, nelle stanze dei consiglieri del presidente. Il suo "no", d’altronde, l’ha ribadito ogni volta con nuovi argomenti e citazioni, da Segni a Leone. «Non perderà la faccia», scommette chi conosce bene l’attuale inquilino del Colle.
Ma chi al suo posto, allora? Ed ecco il punto. Solo Draghi, al momento, sembra presentare caratteristiche di popolarità e condivisione tali da garantire continuità alle grandi attestazioni che Mattarella sta raccogliendo in queste ultime uscite pubbliche. Ma ci sono due ostacoli enormi da superare, ed è complicato trovare la quadra nei pochi giorni che mancano, visto che il settennato scade il 3 febbraio e l’orientamento di Mattarella è di avviare in anticipo le operazioni per la successione.
Ma il fatto è che a votare dovranno essere parlamentari che, al netto dei grandi elettori delle Regioni, con lo scenario di Draghi al Quirinale vedono avvicinarsi lo spettro delle elezioni anticipate, essendoci il buio fitto, in tal caso, sul futuro della già traballante maxi-maggioranza. Pesa il precedente di Ciampi, che con analogo prestigio e lo stesso sostegno unanime fu eletto al primo scrutinio con 707 voti, solo 33 in più rispetto ai 674 del quorum, ben 180 in meno rispetto a quelli che aveva sulla carta. E non è azzardato paventare, con la prospettiva del taglio dei parlamentari, che un colosso come Draghi potrebbe andare incontro, nel segreto dell’urna, a defezioni molte più corpose.
L’altra incognita enorme è legata al passaggio formale delle consegne, che porterebbe - in uno scenario costituzionalmente del tutto inedito - alla reggenza del ministro anziano, ossia Renato Brunetta, in attesa di un nuovo incarico da conferire e di consultazioni che a quel punto dovrebbe condurre già Draghi stesso, dopo essersi dimesso nelle mani di Mattarella.
Lunare, per uno del senso istituzionale di Draghi, è l’ipotesi - che pure qualcuno avanza - che possa essere lui stesso ad auto-candidarsi al Colle, con dimissioni anticipate o con un’anomala pre-investitura alla successione, per rassicurare i grandi elettori. Per cui, per dirla con Fabrizio Cicchitto, l’«abbraccio mortale» di Giorgia Meloni a Draghi (l’appoggio promesso per poi andare a elezioni) porterebbe per paradosso i parlamentari di opposizione ad essere i suoi più compatti sostenitori al Colle, con l’attuale super maggioranza, infarcita, invece, di "franchi tiratori" per prosaiche ragioni di sopravvivenza.
«La mia preoccupazione è che non si elegga Draghi a Presidente, quindi rimane premier e poi alla fine il governo non regge», ipotizza lo "stratega" del Pd Goffredo Bettini. «Draghi - paventa, e non è il solo - sarebbe tolto dalla politica italiana in tutti i ruoli possibili». Per cui il Pd è «pronto a sostenere il governo Draghi fino al 2023». «Siamo nei guai», sintetizza il costituzionalista dem Stefano Ceccanti: «Da Einaudi a Cossiga abbiamo avuto presidenti disposti al "bis" con partiti forti a impedirlo, con Napolitano e Mattarella abbiamo presidenti indisponibili e partiti deboli costretti a chiederlo».
Ora, che Draghi pensi al Colle viene dato ormai per certo, ma i partiti non sono in grado di offrigli certezze. Dovrà pensarci bene, e a un certo punto, magari all’inizio del nuovo anno, l’attuale premier dovrà tirare una linea e, maturata una decisione, non potrà che renderne partecipe per primo proprio Mattarella. Pesa anche, per l’ex presidente della Bce, la crescente preoccupazione degli ambienti finanziari europei (ieri ne parlava il Financial Times), per una crisi di governo in Italia.
E se a quel punto Draghi dovesse rinunciare, e restare a Palazzo Chigi, che farà Mattarella? E soprattutto, se si facesse strada l’idea, sussurrata insistentemente da tanti parlamentari, di votarlo lo stesso, come potrebbe sottrarsi all’investitura? Qualcuno ricorda come, nel 2013, sia stata anche una telefonata di Draghi, da presidente della Bce, a spingere al bis Napolitano (che aveva chiamato mezza Europa per candidarlo a Francoforte), dopo la pressione venuta dai leader politici e dai governatori di Regione. E ora potrebbe riaccadere: l’altrettanto forte rapporto che lega Draghi a Mattarella, induce a pensare che sarà proprio un colloquio fra i due, entro un mese, a sbrogliare una matassa al momento inestricabile.