"Non voglio essere un
politico". Così il presidente della Bce, Mario Draghi,
risponde in un'intervista al giornale tedesco Handelsblatt risponde a
una domanda su un suo possibile impegno politico in Italia. "Il
mio mandato di presidente Bce prosegue fino al 2019", ha
sottolineato Draghi, in merito all'eventuale successione al
presidente Giorgio Napolitano, escludendo categoricamente questa ipotesi. La partita per
il Colle si è ufficialmente aperta con l'ultimo messaggio di
fine anno del presidente Giorgio Napolitano si entra infatti nel
vivo del grande nodo della successione. Una successione alla
quale, presumibilmente, il Parlamento dovrà lavorare a partire
dalla fine di gennaio ma che, di fatto, occuperà le forze
politiche già nei prossimi giorni con Matteo Renzi nel ruolo di
'kingmaker'. I numeri ci sono,
affermava Renzi il 29 dicembre scorso, mostrando un certo
ottimismo sull'operazione più delicata del suo governo.
Operazione ormai prossima: dal 13 gennaio in poi, ogni
giorno potrebbe essere quello giusto per le dimissioni di
Napolitano che, allo stesso tempo, continua a tenere aperta una
finestra di alcuni giorni nella metà del mese, guardando anche
alle conseguenze del suo atto sul lavoro parlamentare, in modo
particolare la riforma della Legge elettorale. Dal giorno in cui
Napolitano comunicherà le sue dimissioni, la presidente della
Camera Laura Boldrini avrà 15 giorni per convocare l'elezione
del successore. Convocazione, quindi, che potrebbe cadere nel
primo lunedì di febbraio con il mese gennaio dedicato così
integralmente alle riforme.
Per il Colle Renzi non potrà contare solo sul suo partito,
sebbene il Pd possa vantare circa 460 su 1008 Grandi elettori.
Per arrivare alla maggioranza assoluta 505 - prevista dal quarto
scrutinio - dovrà contare su almeno un alleato su una partita
sulla quale il premier, così come per le riforme, può di fatto
giocare su un doppio binario: quello della maggioranza di
Governo, scegliendo un'opzione che trovi il sì dei centristi e
quello del Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi.
Tocca comunque a Renzi e al Pd fare una proposta.
Sull'identikit del successore di Napolitano finora il premier si
è limitato a lanciare qualche piccolo indizio affermando, ad
esempio, che il presidente della Repubblica ha "funzioni
tipicamente politiche con la 'P' maiuscola" e riducendo, così,
le chance di un tecnico. Resta, invece, il dubbio se affidare il
Quirinale ad una figura forte e difficilmente influenzabile
(come chiesto più volte, ad esempio, della minoranza Pd) o un
personaggio non di primissimo piano, più idoneo, forse, a fare
da sponda fedele a Palazzo Chigi.
Nella prima ipotesi rientrano i nomi di Romano Prodi - su
cui Berlusconi non ha ancora posto un veto definitivo - Giuliano
Amato e Walter Veltroni. Nella seconda
categoria tra i papabili figurano Anna Finocchiaro e i nomi di esponenti politici cattolici - che troverebbero il favore dei centristi - come
l'ultimo segretario del Ppi Pierluigi Castagnetti o del giudice
costituzionale ed ex vicesegretario Dc Sergio Mattarella. Per la sua esperienza internazionale, non è certo fuori
dai giochi il presidente dell'Anci Piero Fassino.
Tutte figure sulle quali potrebbe ruotare l'ormai probabile
incontro tra Renzi e Silvio Berlusconi, che il 7 gennaio tornerà
a Roma, resta ben allineato allo schema del Nazareno e, nel
frattempo, lavora per serrare i ranghi di una Fi dove la
fronda fittiana conta quasi su 40 parlamentari. E cresce, con
l'approssimarsi delle dimissioni di Napolitano, anche la voglia
di unire le forze da parte di Ncd e Fi, consapevoli che, al di
là degli attriti, formare un fronte comune aumenterà di certo la
loro possibilità di influenza. Con un obiettivo, sul quale
Berlusconi non ha alcuna intenzione di cedere: non lasciare che
Matteo Renzi si scelga il suo presidente della Repubblica
senza pesi e contrappesi.