Un identifik del boss latitante realizzato dagli inquirenti, con la messa a confronto dell'invecchiamento del volto - Ansa
Pubblichiamo un articolo uscito il 7 settembre 2022, in occasione dell'ultimo blitz contro la rete di Messina Denaro
Il fantasma non è affatto un fantasma, ma un padrino in carne e ossa. Uno che decide, che sorveglia gli affari sporchi delle cosche e si avvale di sodali e collaboratori che riconoscono la sua autorità. Matteo Messina Denaro, "l'uomo invisibile", protagonista di una latitanza che dura ormai da trent'anni, è in campo, operante, capace di comandare e di indirizzare i tentacoli di Cosa nostra, almeno nel Trapanese. Questo dice l'ultimo blitz dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani che ieri, all'alba, su mandato della Dda di Palermo, ha portato all'arresto di trentacinque persone, presunti favoreggiatori del boss: gli indagati sono complessivamente una settantina. Sono accusati, a vario titolo, di associazione di tipo mafiosa, estorsione, turbata libertà degli incanti, reati in materia di stupefacenti, porto abusivo di armi, gioco d'azzardo e altri reati, tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. Tra le figure criminali più importanti dell'operazione spunta una vecchia conoscenza degli inquirenti. Si tratta di Francesco Luppino, arrestato nel 2013 e poi scarcerato, ritenuto uno dei "fedelissimi".
Secondo gli investigatori, dopo essere tornato in libertà, Luppino avrebbe ricominciato a darsi da fare nel mandamento di Campobello Di Mazara. Ma i rapporti andrebbero oltre l'orizzonte di Trapani e sarebbero stati allacciati con le cosche palermitane, agrigentine e catanesi. Azioni portate avanti con la benedizione e le indicazioni del capo irreperibile. D'altra parte, è stato lo stesso Luppino a certificare, in una telefonata intercettata, che il superlatitante di Cosa nostra «è vivo e vegeto», smentendo così le voci fatte circolare in ambienti mafiosi sulla sua possibile morte.
La ricostruzione di chi indaga, mette in luce un contesto in cui la mafia è sempre radicata, perché sa rigenerarsi; decimata dall'attività delle forze dell'ordine, ma tuttora in grado di tenere le mani in pasta nell'economia, di imporsi, con le cattive, nel settore della sicurezza dei locali notturni e del recupero crediti, di farsi viva nelle aste giudiziarie, senza mai tralasciare i suoi "piatti forti", come le estorsioni, soprattutto a danno di aziende del settore enogastronomico. Una Cosa nostra tutt'altro che dimessa, in quella zona, che guarderebbe, come punto di riferimento, alla "Primula rossa", a "Diabolik", soprannomi che la pluriennale latitanza ha recato in dote a Matteo Messina Denaro. E sarebbe proprio l'estesa rete di legami, controllata dalla mano di ferro dell'"uomo invisibile", a garantire il funzionamento capillare di una macchina criminale e la sua stessa latitanza. I carabinieri sottolineano «l'immagine di una perdurante vitalità di Cosa nostra trapanese che continua a regolare il proprio funzionamento sul più rigoroso rispetto delle regole ordinamentali che hanno nel tempo contraddistinto l'agire dell'organizzazione».
«La complessa operazione condotta dall'Arma dei Carabinieri nella provincia di Trapani con il coordinamento della competente Direzione distrettuale antimafia testimonia il forte e determinato impegno dello Stato per contrastare le organizzazioni mafiose e i loro interessi criminali dice il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese Ringrazio ancora una volta la magistratura e le forze di polizia per l'eccellente attività investigativa svolta quotidianamente per individuare la fitta rete di relazioni e coperture di cui godono i sodalizi mafiosi e contrastare la loro azione aggressiva sul territorio volta a condizionare la vita economica e sociale locale ed alimentare i loro traffici illeciti». La titolare del Viminale sottolinea «l'incessante sforzo operativo in atto per assicurare alla giustizia Messina Denaro». Ma, fino a questo momento, l'ultimo superlatitante è rimasto inafferrabile, come il suo sanguinario mistero.