sabato 11 febbraio 2012
65 udienze fra il 2009 e il 2011, 6.392 parti civili: quello che si chiuderà a Torino, dove sono attese almeno 160 delegazioni da tutta Italia e da Francia, Brasile, Usa, Svizzera, Gran Bretagna, Olanda e Belgio, è un processo che può essere già definito storico.
DOMENICA SU AVVENIRE: l'attesa di Casale Monferrato, le voci dei sindacalisti e dei familiari delle vittime. Reportage di Paolo Viana
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Un processo "unico nella storia". Il presidente della Corte d'Appello, Mario Barbuto, non è riuscito a frenare la penna quando, nella relazione depositata all'apertura dell'anno giudiziario, ha parlato del caso Eternit: quella che si chiuderà a Torino lunedì - ha scritto l'alto magistrato - sarà "a parere degli specialisti e della stampa anche estera" una causa destinata a fare epoca.Alla sbarra ci sono un miliardario svizzero e un nobile belga che secondo i pubblici ministeri meritano 20 anni di galera. E sotto accusa c'è l'amianto, un minerale che nell'ultimo secolo, persino quando si cominciò a sospettare che fosse cancerogeno, è stato impiegato a piene mani per proteggere le case dal calore e dal rumore, isolare caldaie, costruire i freni delle auto, intrecciare corde, potenziare vernici; un'industria che ha dato da vivere a decine di migliaia di persone in tutto il mondo, ma che alla fine ha provocato una strage perché le fibre si sono rivelate un killer che non perdona.Ma il processo Eternit, così come è stato costruito dalla procura di Torino, è anche un processo a un certo modo di guidare le multinazionali, un atto d'accusa ai super-dirigenti che non si preoccupano di quello che succede nelle filiali periferiche e che, anzi, minimizzano i problemi o fanno di tutto per nasconderli.L'elvetico Stephan Schmidheiny (uno degli uomini più ricchi del mondo che oggi si definisce "un filantropo" che si batte per un futuro ecosostenibile) e il belga Louis De Cartier De Marchienne, 65 e 91 anni, rispondono di disastro doloso. In diversi periodi della loro vita - dice l'accusa dei pm Raffaele Guariniello, Sara Panelli e Gianfranco Colace - hanno gestito la Eternit o società collegate e, quindi, sono responsabili dello scempio provocato dall'amianto lavorato in quattro stabilimenti italiani della holding a partire dal 1952: Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Migliaia di morti e di malati di tumore fra gli operai e fra le persone che popolavano le quattro località.Ed è la prima volta che tra gli imputati non finiscono solo i capi delle singole filiali, ma i vertici.Anche le difese hanno scoccato le loro frecce. Ancora negli anni Sessanta - dicono - gli scienziati non erano d'accordo sulla nocività dell'amianto, ma i dirigenti "rimasero choccati" quando, nel 1976, in un seminario in Germania vennero messi al corrente delle ultime scoperte, e Stephan Schmidheiny, che ereditò la carica in quel periodo dal papà, prese tutti gli accorgimenti tecnici possibili per limitare i danni investendo milioni; mentre De Cartier fu, dal 1971, solo un amministratore senza deleghe e senza capacità di intervenire sul fenomeno.Che sia stato un maxi-processo lo dicono le cifre: 65 udienze fra il 2009 e il 2011, 6.392 parti civili, un flusso di testi e di pubblico che ha richiesto una macchina organizzativa cui ha preso parte anche la protezione civile. Per la sentenza sono previste misure straordinarie: il Palagiustizia apre due maxi aule da 250 posti e l'aula magna da 700, la Provincia ne mette a disposizione una da 316. Si attendono almeno 160 delegazioni da tutta Italia e da Francia, Brasile, Usa, Svizzera, Gran Bretagna, Olanda e Belgio. Comunque vada a finire, il "processo unico nella storia" farà scuola anche in altri Paesi dove da anni comitati di cittadini attendono che la magistratura indaghi e faccia giustizia.
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