giovedì 4 ottobre 2012
Ieri ascoltati come testimoni quattro appartenenti alla Gendarmeria pontificia. «L’imputato è stato trattato nel miglior modo possibile».
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​Già sabato prossimo si potrebbe avere la sentenza sul processo a Paolo Gabriele. Ieri infatti, alla fine della terza udienza, è stato annunciato che dopodomani, dopo la requisitoria, l’arringa, e le eventuali repliche e la prevedibile dichiarazione finale dell’imputato, la Corte presieduta da Giuseppe Dalla Torre si riunirà in Camera di Consiglio. E, a meno di sorprese, nel pomeriggio rientrerà in aula per la lettura della sentenza.Tutto, insomma, come previsto, nel processo più inatteso – in quanto si svolge dentro il Vaticano – e seguito della storia recente. Ieri sono stati ascoltati gli ultimi quattro testimoni (Stefano De Santis, Silvano Carli, Luca Bassetti e Luca Cintia), tutti appartenenti al Corpo della Gendarmeria pontificia. Al centro delle domande i tantissimi - «migliaia» – documenti riservati trovati durante le perquisizioni in casa di Gabriele, la pepita d’oro, o presunta d’oro, e l’assegno da centomila euro intestato al Papa rinvenuti nella stessa circostanza. Ma c’è stato anche modo, durante la deposizione del vice commissario Cintia, di rispondere alle accuse lanciate martedì dall’imputato su presunti maltrattamenti subiti duranti i primi 15-20 giorni di detenzione: «Fin dal primo momento – ha dichiarato il testimone, chiedendo che le sue parole fossero messe a verbale – il comandante della Gendarmeria Domenico Giani ha dato ordine di tutelare Gabriele e la sua famiglia, è stato trattato con i guanti bianchi». Tanto che, ha aggiunto, «Gabriele ha ringraziato più volte per il trattamento ricevuto. È stato trattato nel modo migliore possibile». Sul caso comunque, ha ricordato Dalla Torre, è stato aperto un fascicolo a parte. In ogni caso il legale di Gabriele, Cristiana Arru, sollecitata al termine dell’udienza dai giornalisti su come fossero conciliabili le ipotesi d’abuso con le sue dichiarazioni di luglio, in cui veniva rilevato il buon trattamento e le buone condizioni dell’assistito nei primi giorni di detenzione, ha risposto: «Quelle dichiarazioni si riferivano a quel giorno, a quel momento».Quanto al materiale sequestrato, si parla di documenti riservatissimi a firma autografa del Papa, alcuni con indicato l’obbligo di distruzione, documenti della Curia Romana, atti cifrati della Segreteria di Stato, «documenti riguardanti la totale privacy e la vita familiare di Benedetto XVI». Fogli che Gabriele aveva nascosto in armadi stracolmi di «centinaia di migliaia di fogli». I gendarmi hanno precisato di aver avviato le ricerche «con il solo fine di rintracciare il materiale reso pubblico dal libro di Nuzzi», e che solo in un secondo momento si «sono resi conto della gravità della cosa». Complessivamente «circa mille i documenti trafugati», tra originali e copie nascosti tra fogli riguardanti massoneria, esoterismo, Loggia P2, P4, caso Bisignani, caso Calvi; Berlusconi, il cosiddetto Vatileaks, lo Ior, e ancora yoga, buddismo, e cristianesimo. Tra il materiale anche testi su come nascondere documenti o fotografie in formato elettronico, registrare e fare video e utilizzare «il cellulare in modo velato».A tutti i testimoni, infine, è stato chiesto conto della pepita e dell’assegno, sui quali nella sua deposizione Gabriele aveva detto di non sapere perché fossero in casa sua. De Santis ha spiegato che la pepita e l’assegno «non erano quello che cercavamo noi», e che la prima aveva «un timbro» e il cartellino che testimoniavano come essa provenisse da un viaggio del Papa.
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