Enrico Letta, segretario del Pd - Ansa
Non è la democrazia a essere a rischio, ma la Costituzione. Il presidenzialismo fortemente voluto da Giorgia Meloni non piace a Enrico Letta, che a meno 16 giorni dalla fine della campagna elettorale torna a parlare di riforme istituzionali, ma rettifica gli allarmi lanciati ventiquattro ore prima, per non cadere nella rete della leader di Fdi, che già replica di non avere bisogno di «patenti di democrazia» dal leader dem. Il segretario del Pd, piuttosto mette sul banco degli imputati la legge elettorale voluta, dice, da Matteo Renzi (anche se qui la replica arriva da Maria Elena Boschi: era l’Italicum il sistema di voto disegnato dall’attuale leader di Iv).
Ma una dose di approssimazione fa parte del gioco che si incattivisce con l’avvicinarsi del 25 settembre. «La democrazia non è a rischio se vince la destra – fa dunque marcia indietro l’ex professore di Sciences Po – , il nostro sistema regge e reggerà. Sono gli italiani che scelgono», spiega a Rtl, e in questo caso, però, sceglierebbero chi «due mesi fa, forse pensando che nessuno di noi capisse lo spagnolo, fece quel discorso in Spagna che vi invito a rivedere».
Oggi, continua, «il mio appello riguarda il sistema elettorale che ha voluto Renzi e che può consentire alla destra italiana con solo il 43 per cento dei voti, se il resto del campo è diviso e noi privati di voti, di avere il 70 per cento di rappresentanza democratica». Perché, appunto, «il Rosatellum è stato scelto dal Pd», come infierisce più volte Meloni, ma, per Letta, «lo impose Renzi pensando di prendersi il 70 per cento del Parlamento, poi è andata come è andata». E ancora, «con il taglio dei parlamentari si sarebbe dovuto cambiare la legge elettorale. Così le cose si sarebbero equilibrate. Abbiamo tentato. Non ce lo hanno permesso. Ora la riduzione dei seggi con questa legge maggioritaria rende il sistema maggioritario all’eccesso. Un rischio». Non per questo, però, il Pd si siederà alla Bicamerale offerta da Meloni, per varare la riforma costituzionale. «Noi – spiega ancora – siamo contro il presidenzialismo, non perché io consideri il presidenzialismo come un pericolo per la democrazia. Ma dare tutto il potere a una persona è sbagliato, non è un modo per risolvere i problemi e noi ci opporremmo in ogni modo a questo».
Quanto agli attacchi al Terzo polo, Letta confuta la teoria di chi vede all’orizzonte un possibile ritorno di Draghi: «È una balla. È stata sparsa questa idea che il voto non conta, che tanto poi si litiga e si rifà un governo Draghi. È una balla perché il voto conta e se il Parlamento venisse egemonizzato dalla destra, poi non si può tornare indietro». Piuttosto, aggiunge, «faremo di tutto perché l’esperienza, il ruolo e la competenza di Draghi non vadano in pensione».
Insomma, Letta dribbla lo scontro con Meloni, che già si era infuriata per l’"allarme democratico", e rimette nel mirino gli ex alleati, compreso M5s, che si accredita sempre più a sinistra, ma che per il segretario del Nazareno così non sarebbe: «Ha colpito anche me che Trump parlasse di Conte, dà l’idea che Conte e il 5 stelle tanto di sinistra non sono», insiste.
Giuseppe Conte, però, non si sente spiazzato, perché vede i sondaggi in risalita, in particolar modo al Sud. E rimarca le distanze sull’allarme per la democrazia: «Non userei questi toni. Siamo in una democrazia avanzata solida, quindi non parlerei assolutamente di questi rischi e non darei ai cittadini questa prospettiva». Il presidente pentastellato attacca invece la leader di Fdi per le critiche al Reddito di cittadinanza. «Meloni da anni guadagna 500 euro al giorno pagati dai cittadini. Oggi vuole togliere 500 euro al mese a chi non ha di che mangiare. Per caso vuole la guerra civile? La realtà è che i programmi della destra sono inadeguati, insufficienti e campati in aria». E soprattutto fotografano una coalizione spaccata, secondo l’ex premier grillino, che «prefigura» una «accozzaglia dove tutti possono avere una poltrona».