La cantautrice Mariella Nava e l'attrice Daniela Poggi in scena con lo spettacolo "Figlio non più giglio" - Foto ColorArmony
Una Maria dei giorni nostri piange non di fronte al Figlio crocifisso, ma su un figlio femminicida in una sorta di lauda contemporanea, Figlio, non sei più giglio, ispirata allo Stabat Mater di Jacopone da Todi. L’ideatrice è l’attrice Daniela Poggi che con la sua Bottega ha affidato il testo alla penna della scrittrice e regista Stefania Porrino ed ha coinvolto la cantautrice Mariella Nava come coprotagonista con i suoi brani. Uno spettacolo dall’attualità impressionante, visto il caso di Giulia e Filippo, anche se nasce, purtroppo, dai troppi casi di violenza passati, dove Poggi/Maria si pone mille domande gridando al pubblico “Ho partorito un figlio assassino che non era così, prima era un giglio”. Lo spettacolo è in tour nei teatri (questa sera a Nardò, il 5 dicembre a Roma) ma le due artiste lo pensano anche come strumento educativo per la scuola.
“Uno spettacolo che noi vorremmo portare nelle scuole perché ci rivolgiamo soprattutto ai giovani – ci spiega Mariella Nava, autrice di brani indimenticabili come Questi figli per Gianni Morandi che sarà inserito nello spettacolo -. Quando abbiamo assistito a questo ultimo caso c’è venuto un brivido… Daniela Poggi ha focalizzato il problema dalla parte dei genitori che non capiscono quello passa in testa ai loro figli. Noi siamo due amiche sul palco, ambedue madri, e lei mette in guardia me perché le è capitato il figlio che si è macchiato di un delitto, ha ucciso una ragazza un ragazzo che a lei sembrava normale”. Oggi si parla tanto di corsi di educazione all’affettività nella scuola, ma forse l’impatto emotivo del teatro o della musica può essere più immediato? “Uno spettacolo del genere può prevenire – spiega la cantante -. Le canzoni punteggiano il percorso del testo: c’è l’amore quando tutto va liscio, poi le crisi di gelosia e le preoccupazioni dell’amore, l’allenamento nel mettere l’amore finito in una nuova prospettiva per non essere devastati. I ragazzi oggi non sono allenati, l’amore non è solo godimento, ma è fatica, crescita insieme, poi quando non c’è più, bisogna saper capire come lasciare andare”.
“Lo spettacolo nasce da una mia idea assistendo a una Passione prima di Pasqua – spiega ad Avvenire l’attrice Daniela Poggi - Volevo fare uno spettacolo sulla violenza sulle donne raccontando il dolore della madre di un femminicida, che si racconta dall’allattamento in poi di fronte a questa realtà tragica. L’ispirazione è la Laude di Jacopone da Todi, Stabat Mater, su Maria ai piedi della croce mentre Gesù sta morendo, ribaltando l’idea. Cosa prova una madre che ha generato un figlio colpevole che ha ucciso una donna come lei?”. Cosa racconta lo spettacolo? “In Figlio, non sei più giglio il mio personaggio si rende conto che il figlio non è più la persona che credeva, ma è diventato un altro – spiega l’attrice -. Lei si pone mille domande senza risposta e, non avendo la forza di incontrarlo, gli scrive una lettera. La cosa più importante è il fatto di rendersi conto di come è un figlio, perché non ci si guardava mai negli occhi. “Anche io avrei dovuto vegliare sui suoi gesti, cercare di capire” dice Maria e lo fa attraverso i ricordi”.
I titoli dei giornali di questi giorni si domandano se conosciamo davvero i nostri figli. “A Mariella dico anche: tu hai un figlio, è un bravo ragazzo, ma tu conosci davvero il suo cuore? – racconta -. Viviamo una società di solitudine, individualismo, non c’è più relazione con l’altro, non lo si guarda più negli occhi. A mio figlio chiedo: “ma l’hai guardata negli occhi mentre la colpivi?”.
Daniela Poggi è andata al cuore del problema. “Mi dispiace la terribile coincidenza, io mai avrei voluto accadesse. Ma è il viaggio che io faccio in tutti i miei spettacoli: la relazione con l’altro, la preziosità di ognuno di noi, il fatto di confrontarsi. Abbiamo costruito una società in cui i social sono diventati compagni di vita, i giovani non hanno più relazioni, i genitori sono impegnati nel lavoro e i ragazzi li abbiamo abbandonati in questa giungla”. Per la Poggi i corsi di affettività a scuola “servono a poco se poi in quella famiglia non c’è quella inclusione nella conversazione. Dovremmo fare dei corsi alla società intera, dobbiamo tutti cambiare, tutti siamo colpevoli, nel silenzio e nel non accorgerci dell’altro. Sono anni e anni di totale degrado culturale e di tutta la società umana orientata verso altri interessi, come il potere, la ricchezza e il protagonismo. E questo ha allontanato totalmente il senso della vita: ognuno invece deve trovare la bellezza verso se stesso nel viaggio in questo tempo che ci vien donato. Una rivoluzione culturale va fatta, anche nella comunicazione dei media. Certo la scuola dovrebbe essere l’altra famiglia, ma se noi non diamo più valore ai docenti, se la politica non collabora con la scuola, è inutile”.
Uno spiraglio di luce viene lasciato nello spettacolo: “Come nella Stabat Mater originale nel dolore c’è anche la speranza nella Resurrezione, così anche nel nostro testo c’è la disperazione di questa madre ma anche la ricerca del significato del perdono. Si domanda se lei può perdonare questo figlio, ma chiede a lui un percorso di rinnovamento della sua anima. Anche il nostro testo umilmente vuole lasciare una speranza”.