Sei arrestati e messi in carcere, uno ai domiciliari, uno in stato di fermo e due sottoposti all’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria. Tutti giovani. È il bilancio, provvisorio, delle indagini che hanno cercato di fare luce sulle cause delle ondate di panico scatenatesi il 3 giugno di un anno fa in piazza San Carlo a Torino e che provocarono le fuga di circa 40mila persone, 1.526 feriti e la morte di Erika Pioletti. Ma gli sviluppi dell’indagine non si fermeranno qui. Sono 15 gli avvisi di garanzia recapitati ai vertici dell’Amministrazione Comunale, ad iniziare dalla sindaca Chiara Appendino, oltre che all’ex Questore, Angelo Sanna. Abbiamo fatto «tutto in tempi brevissimi», ha spiegato ieri Armando Spataro, procuratore capo di Torino, che ha aggiunto: «Ciò è stato possibile grazie ad un vero e proprio lavoro di squadra».
Quella di piazza San Carlo - dove nella serata del 3 giugno era stato allestito un maxischermo per la partita Juventus-Real Madrid -, è una vicenda nella quale negligenze e superficialità organizzative sembra si siano mischiate con la criminalità comune. A scatenare le ondate di panico, infatti, pare sia stato l’uso da parte degli arrestati di uno spray urticante per compiere una serie di furti fra la folla. Ad accentuare gli effetti disastrosi del panico, pare sia stata la disorganizzazione dell’evento.
Panico, dunque, scatenato dall’azione di una banda di rapinatori, scoperta attraverso un’altra indagine su una serie di rapine e scippi commessi da giovani o giovanissimi quasi tutti cittadini marocchini di "seconda generazione". Ha spiegato Spataro che «tutto ha preso spunto da una perquisizione dello scorso gennaio in relazione ad un furto commesso in un esercizio commerciale». Dall’analisi delle utenze e dai profili sui social network e chat, gli investigatori hanno quindi dimostrato un primo collegamento con i fatti avvenuti in piazza San Carlo. Da qui l’allargamento delle indagini che hanno messo in fila una serie di eventi tutti accomunati dall’uso di uno spray al peperoncino per creare confusione e rubare catenine d’oro, orologi ed altro durante manifestazioni musicali o comunque eventi a cui partecipavano moltissime persone. Anche in piazza San Carlo è stato usato lo stesso metodo. Ma il risultato è stato diverso.
Quella sera è stato accertato che Sohaib Bouimadaghen, Hamza Belghazi, Mohammed Machmachi ed Aymene Es Sabihi - alcune dei giovani coinvolti -, si trovavano in piazza e utilizzavano lo stesso metodo per effettuare una serie di scippi. «Con tale condotta – ha detto ieri Spataro –, hanno determinato il panico che ha generato oltre 1.500 feriti e la morte di Erika Pioletti». L’intero gruppo, è stato poi spiegato dagli inquirenti, è responsabile anche di altri fatti simili (che per fortuna non hanno avuto le stesse conseguenze), fra Torino e Verona ma anche in Olanda, Francia, Germania e Belgio. Bouimadaghen, 19 anni, ha già confessato: su di lui pesavano numerose intercettazioni telefoniche mentre su Facebook scriveva riferendosi a quanto accaduto: «Una ringhiera vi ha messo in ginocchio, avete calpestato bambini e donne con un petardo».
Intanto, prosegue anche l’altro filone dell’inchiesta, quello sulle negligenze e sulle responsabilità dei rappresentanti delle Istituzioni. Oltre agli avvisi di garanzia, la procura ha chiesto però l’archiviazione di alcune posizioni fra cui quella del prefetto di Torino e del Comandante vicario pro tempore della Polizia locale. A proposito di questa parte dell’indagine, sempre Spataro ha sottolineato anche apprezzamento «per l’atteggiamento di rispetto istituzionale manifestato» dagli indagati. Rimane intanto l’amara considerazione di Angelo Rossi, zio di Erika Pioletti: «Per noi non cambia nulla: Erika, purtroppo, non ce la restituisce più nessuno».