Per quei paradossi non infrequenti in politica, la nuova disponibilità di Beppe Grillo alla trattativa sulle riforme, che sembrava aprire una stagione costruttiva del M5S, ha spinto un riluttante Berlusconi a rinsaldare i rapporti con Renzi e a ordinare ai suoi di facilitare l’approvazione della riforma del Senato. Il rischio di una legge elettorale 'punitiva' nei confronti di Forza Italia era infatti troppo grave per un partito politico che si dibatte in tante difficoltà, elettorali e interne. E ancora una volta quello che gli avversari chiamano il 'tatticismo' di Matteo Renzi, ossia la sua straordinaria capacità di movimento, sembra portare a un nuovo successo per l’inquilino di Palazzo Chigi. Che festeggia. Perché un eventuale asse sulle riforme Pd-Cinque Stelle avrebbe sicuramente consentito di portare a casa la riforme, ma al prezzo molto alto di uno stravolgimento del testo Boschi e, soprattutto, dell’Italicum. Il presidenzialismo rilanciato ieri da Berlusconi ha, in quest’ottica, più una funzione di propaganda che di reale strategia sulle riforme. Il meccanismo proposto da Berlusconi per trasformare la nostra Repubblica da parlamentare a presidenziale è infatti farraginoso (come nel caso degli emendamenti) o con minime possibilità di riuscita (la legge d’iniziativa popolare non ha mai avuto fortuna in questo Paese). Ma soprattutto sarebbe un gravissimo errore strategico 'regalare' a Renzi, al colmo della sua popolarità, la possibilità di trasformare completamente le elezioni politiche in un referendum sulla sua persona. Forza Italia non avrebbe nemmeno un candidato da opporgli. Berlusconi non è uno sprovveduto: per lui rispolverare la bandiera presidenzialista significa soprattutto provare uscire dalle secche in cui si è cacciato, trovare un tema unificante per tutto il centrodestra (Ncd compreso) e riaccendere su di sé l’attenzione dell’opinione pubblica.