venerdì 7 giugno 2024
Una mappa dei luoghi a rischio nella filiera agricola e della ristorazione: il piano di Fondazione con il Sud
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«Ai minori stranieri insegniamo come essere i cittadini di domani, partendo dalla conoscenza di diritti e doveri. Così preveniamo i fenomeni di sfruttamento degli adulti che saranno». Giuseppina Quartarone è vicecoordinatrice del Sai, il Sistema accoglienza integrazione della Cooperativa “L’Albero della vita” di Pachino, un paese in provincia di Siracusa noto per il pomodoro, i suoi borghi e le spiagge. Oltre ad accogliere i minori, la cooperativa partecipa da qualche mese a “Intrattabili: Diritti non negoziabili per contrastare ogni sfruttamento”, un progetto sostenuto da Fondazione con il Sud che punta a far emergere il caporalato e assistere le persone nella transizione verso un lavoro dignitoso.

Come per i minori della comunità, anche per le vittime di caporalato che “Intrattabili” vuole intercettare, l’integrazione parte dall’alfabetizzazione alla cittadinanza: «Vediamo che i nostri ragazzi hanno strumenti che magari agli adulti stranieri in città non sono mai stati dati e spesso loro per primi aiutano i connazionali a districarsi».

In questa zona di frontiera, dove i migranti trovano impiego soprattutto nell’agricoltura e nella ristorazione, il progetto “Intrattabili” punta a mappare il fenomeno sommerso attraverso l’ascolto dei possibili beneficiari nei luoghi abituali di incontro e uno sportello fisso che offre orientamento legale e percorsi personalizzati. «L’obiettivo è fare emergere quello che è sotto gli occhi di tutti – dice Emanuele Blanco, coordinatore di “Intrattabili” –. Anche se i braccianti hanno contratti di lavoro regolari, alcuni di loro vivono in condizioni di emarginazione sociale». Una situazione che Blanco conosce grazie alla sua recente esperienza nella rete Sipla, un progetto Caritas che cerca di proteggere i lavoratori agricoli stranieri dallo sfruttamento. «Nel territorio siracusano e ragusano, si trovano vecchi ruderi adibiti ad abitazioni. Siamo riusciti a risolvere alcuni casi, ma il problema è che finora è mancata una continuità di finanziamenti per queste iniziative. Anche “Intrattabili” durerà solo tre anni. Bisognerebbe trasformare i progetti in programma di contrasto permanente», aggiunge il coordinatore.

Eppure, alcuni risultati raggiunti dalla cooperativa, soprattutto nella struttura per minori, dimostrano che un’interazione sana con il territorio è possibile. «L’accoglienza prevede vari step – spiega la vicecoordinatrice del Sai –. Oltre a insegnare l’italiano, all’inizio cerchiamo di capire le competenze di ciascuno, per poi avviarli verso laboratori professionalizzanti, tirocini formativi e quando è possibile iscriverli a percorsi di istruzione superiore». Tra i ragazzi passati dal Sai c’è Bocar Chire, un 19enne arrivato dal Senegal quando aveva 15 anni. «Grazie alla conoscenza di diverse lingue e alla sua indole, già quando era in comunità Bocar ci aiutava a superare le incomprensioni con gli altri. Anche adesso viene spesso a fare da mediatore», aggiunge Quartarone. Oggi Chire vive con una famiglia affidataria. La sua routine è piena di relazioni e impegni: lavora come aiuto cuoco, frequenta il secondo anno all’alberghiero, va in palestra ed esce spesso con gli amici. Ricorda, però, quanto ci si possa sentire spaesati in un posto di cui non si conosce niente e nessuno.

«Gli operatori mi hanno dato la strada e ora mi fa piacere aiutare gli altri ragazzi. So che a volte si innervosiscono perché c’è un problema di comunicazione e magari pensano di essere presi in giro. Il consiglio che do sempre a loro è di fidarsi», racconta il 19enne che sogna di avere la cittadinanza e rimanere a Pachino. Sa che il suo carattere gli ha già aperto tante porte, ma ognuno ha i propri vissuti e a questi diverse reazioni. La formazione rimane dunque l’elemento imprescindibile di un percorso che permetta realmente a chiunque di interagire con la città in cui vive: «Da quando ho iniziato a lavorare e studiare è cambiato tutto. Adesso ho tanti amici italiani, non solo africani». La sua storia insegna.

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