venerdì 20 giugno 2014
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​«Il dato di fondo è positivo. Veniamo da un lungo tempo in cui si è assistito a un paradosso: più si parlava della necessità di riformare la Costituzione, più la prospettiva di riuscirci si allontanava. Oggi, per la prima volta dopo tanti anni , sembra che ci saranno modifiche e aggiornamenti di rilievo, seppure limitati al superamento del bicameralismo cosiddetto perfetto». Lorenzo Ornaghi, già rettore dell’Università Cattolica, guarda con interesse alla riforma del Senato, pur sottolineando la necessità di intervenire con correttivi importanti.Quali sono a suo parere gli aspetti positivi?Si vedranno gli effetti sul piano della formazione delle leggi: più celerità nell’approvazione, meno conflitti e duplicazioni e meno giochi politici. Vorrei aggiungere che la riforma del bicameralismo, dal punto di vista della produzione legislativa, è un passo importante, ma non è certo l’unico da compiere. Accanto allo snellimento delle procedure, c’è bisogno della profonda modifica dei regolamenti delle Camere. Ma soprattutto di una forte delegificazione: non è possibile che a ogni provvedimento del governo si rimandi a decine e decine di decreti attuativi.E per le leggi più delicate non sarebbe meglio mantenere una forma di bicameralismo?La nostra Costituzione, nata in un momento storico molto particolare, quello tra la fine della dittatura e la nascita, piena di speranza, della democrazia, ha stabilito giustamente dei meccanismi molto prudenti per la riforma della Costituzione stessa, prevedendo la doppia lettura per ciascuna Camera con una pausa di riflessione tra un’approvazione e un’altra. Io credo che occorra separare nettamente le questioni: ci sono leggi a contenuto specifico (la gran parte delle leggi a carattere economico e quelle a vantaggio di strati più o meno ampi di cittadini) che hanno bisogno di essere approvate con più rapidità del passato. Ma ci sono altri ambiti, penso a quelli delle libertà fondamentali, dei diritti (autenticamente tali) della persona, dei temi eticamente sensibili, delle norme che regolano la convivenza del Paese che hanno invece necessità di tempi più dilatati e che non possono essere appannaggio della maggioranza pro tempore. Credo che occorrerà trovare delle norme, degli espedienti giuridici, che prevedano la possibilità di una votazione "meditata" anche in un sistema imperniato soprattutto su una delle due Camere.Renzi ha insistito per l’elezione indiretta dei senatori...Quella della composizione del Senato è una antica questione. Fin dall’Unità d’Italia c’era qualcuno che proponeva l’abolizione o l’elezione diretta dei senatori, che erano di nomina regia. Alla Costituente la questione si ripresentò. C’erano diverse strade: la rappresentanza dei corpi sociali, la rappresentanza degli amministratori locali, c’era chi, come i comunisti, era fortemente monocameralista. Alla fine fu scelta l’elezione diretta da parte dei cittadini, sia pure su base regionale. Anche stavolta sul tavolo c’erano queste ipotesi. Bisogna dare atto a Renzi di averne scelta una, quella dei senatori espressione delle realtà locali, e di averla perseguita con tenacia e determinazione. Non far votare per una Camera non è una restrizione degli spazi di democrazia?È un dilemma antico: quando si privilegia la governabilità, come in questo caso, c’è il rischio di una contrazione della rappresentatività. Ma è un rischio, credo, che si debba correre: la modernità, la globalizzazione, esigono tempi sempre più rapidi per una serie di decisioni. Non sempre però accade così. Per esempio nei sistemi di elezione diretta del capo dello Stato si ottiene il massimo di governabilità e, insieme, il massimo di legittimazione popolare.Il fattore tempo, con Renzi, è entrato in gioco prepotentemente nella politica di oggi..Ci sono due facce della medaglia. La rapidità delle decisioni è un valore positivo. Il rischio esiste quando questa rapidità è legata soltanto alla gestione di un tempo breve, che coincide di solito con le elezioni più vicine. E, invece, c’è sempre più bisogno di riforme strutturali, i cui effetti si vedono nel medio e nel lungo periodo. È questo un tema generale, che non riguarda solo l’Italia, ma tutti i Paesi di democrazia avanzata. Forse sarebbe opportuno distinguere la rapidità dalla fretta, che si verifica quando non si ha un progetto per il Paese ma si pensa solo a vincere le elezioni.
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