Matteo Orfini
«In politica si vince o si perde, ma se perdi devi perdere per le tue idee. Consegnandoti alle idee degli altri puoi solo continuare a perdere». Matteo Orfini, ex presidente del Pd, aveva preferito non parlare alla vigilia del voto in Umbria per non essere facile profeta.
È andata come aveva previsto?
Il risultato è drammatico ed è inopportuno chi tenta di ridimensionarlo, specie nel mio partito: è una sconfitta molto dura di una dimensione superiore alle previsioni, dal mio punto di vista inevitabile, dopo le scelte fatte. Ora però bisogna affrontarla e trarne le conseguenze. Quali? Innanzitutto evitare le forzature fatte fin qui. Si è tentato di trasformare un accordo tra forze alternative, figlio di un’emergenza, in alleanza stabile trasferita sulle elezioni regionali, che doveva diventare una strategia per il futuro. Ma è impensabile. Il governo Letta nacque con l’aiuto di Berlusconi, ma nessuno immaginò che da quel governo potesse formarsi un’alleanza tra Pd e Forza Italia perché erano due forze alternative, esattamente come lo sono Pd e M5s.
Eppure Bettini e Franceschini pensano a Pd e 5s come al nuovo centrosinistra.
Ma perché, cosa rende compatibili Pd e 5 stelle? Abbiamo l’idea della democrazia rappresentativa diversa, l’idea del lavoro di- versa, così per la giustizia, la gestione dell’immigrazione. Su tutti i principali dossier la pensiamo diversamente.
Bonaccini dice che con un accordo sul programma, Pd, Iv e M5s potrebbero sostenerlo in Emilia Romagna...
Io penso che sia sbagliata la ricerca di un accordo con una forza alternativa. Basta pensare a questo primo mese e mezzo di governo Conte. Le ragioni con le quali avevamo contrastato Salvini sono scomparse in nome di questa alleanza: la Ocean Viking sta in mare da 10 giorni, i decreti sicurezza non si toccano, lo ius culturae è impantanato in commissione, quota 100 diventa da difendere, e al contrario abbiamo ceduto a punti simbolici sbagliati come il taglio dei parlamentari, la difesa di quota 100 e del Rdc. Ora arriverà la giustizia. Abbiamo annullato il Pd nel nome della costruzione di un nuovo centrosinistra, ma nessuno sa più cosa è il Pd e cosa vuole fare.
È stato penalizzato più M5s che il Pd.
Segnalo che in questa competizione non c’era neanche Renzi e quindi l’emorragia di voti è figlia della scissione.
Il governo Conte è a rischio?
Il governo è fragile. Se Conte, come speriamo, vuole provare ad andare avanti, allora serve un salto di qualità. Se questo governo avesse abrogato i decreti sicurezza, dichiarato di voler rivedere gli accordi con la Libia, lo ius culturae... sarebbe più forte. Non si vince con gli accordi contro Salvini, ma bisogna avere il coraggio di convincere gli elettori delle proprie opinioni.
E Zingaretti non lo ha fatto? Crede che debba dimettersi?
Penso che ora ci sarà una discussione, poi o abbandoniamo l’idea che il futuro del Pd sia con i 5s, o se invece si vuole continuare nella direzione presa, ebbene, io dico concentriamoci per il voto in Calabria ed Emilia, poi però si faccia il Congresso, perché non è nel mandato di Zingaretti l’accordo con i 5s. Quindi se si vuole rilanciare l’alleanza c’è l’obbligo di chiamare tutti gli elettori a pronunciarsi.
Anche per lei dietro la sconfitta del Pd c’è ancora Renzi?
Oscilliamo tra la subalternità a Salvini e la subalternità a Renzi. A me dispiace che sia uscito, ma ho smesso di commentare quello che fa. Se Renzi ha una centralità è perché è fragile l’identità del Pd. Non possiamo lasciare la bandiera del riformismo a Iv. Prima litigavamo su Renzi, ora litighiamo con Renzi: non mi pare una linea proficua.