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È uno sciopero divisivo quello previsto per venerdì, foriero di tensioni tra sindacati e governo e tra le stesse sigle confederali. La mancata adesione della Cisl, convinta che la manovra dell’esecutivo non meriti una protesta del genere, testimonia la complessità del quadro e conferma un percorso minato per la legge di Bilancio, nonostante il disco verde arrivato dalla Commissione europea (decisamente più severa con altri Stati membri rispetto all’Italia). La giornata si preannuncia pesante: allo stato, e fatti salvi i servizi minimi essenziali, sono a rischio per otto ore i servizi di fabbriche, scuole, poste, sanità e giustizia. La precettazione ha ridotto a quattro ore la protesta dei trasporti, ma i sindacati hanno fatto ricorso al Tar del Lazio.
Proprio su questo punto si è consumato il giallo che ha animato la vigilia della mobilitazione. I giudici amministrativi hanno infatti respinto il ricorso contro l’altolà del ministero dei Trasporti, ma non quello presentato da Cgil e Uil, a loro dire non ancora discusso dal Tribunale. Il particolare è però sfuggito a Matteo Salvini, che si è precipitato sui social per celebrare la difesa «del diritto alla mobilità degli italiani». Non ci è voluto molto per la replica divertita delle sigle coinvolte («bastava leggere i documenti per capire che non era il nostro»). Il “mistero” sull’identità dei ricorrenti è durato qualche ora. Solo in serata è stato chiaro che si trattava di due sindacati autonomi.
Nel frattempo il garante degli scioperi ha potuto spiegare le sue ragioni nell’audizione davanti alla commissione Trasporti della Camera. «Noi applichiamo le regole di legge, gli scioperi devono essere distanziati nel settore dei trasporti. C’è una delibera che ne vieta la concentrazione. Cgil e Uil, non si sono adeguate», ha chiarito la presidente della Commissione di garanzia, Paola Bellocchi. Peraltro, ha aggiunto, «la giornata del 29 novembre era già stata prenotata da un altro sciopero generale proclamato da due confederazioni sindacali di base Sgb e Cub, prima di quello di Cgil e Uil. È stato fatto presente a Cgil e Uil» e «c'era la possibilità di scegliere una data alternativa», ma evidentemente si è preferito evitare un compromesso.
A infiammare ancora di più la vigilia della mobilitazione, le minacce dello stesso Salvini («chi sciopera oltre limite pagherà personalmente»), e il caso Poste, che ha sancito un’ulteriore divisione tra Cisl e gli altri due sindacati della “triade”. L’azienda ha raggiunto un accordo col sindacato di via Po, che prevede oltre 7.500 inserimenti a tempo indeterminato, tra assunzioni e stabilizzazioni, assieme ad altre indennità e alla sperimentazione dell'orario a cinque giorni nelle aree metropolitane. Cgil e Uil, però, accusano Poste di averli «buttati fuori dai tavoli negoziali» e ora parlano dell’accordo come di «un pasticcio a danno dei lavoratori». «È una farsa», hanno commentato a caldo in una nota i segretari generali Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri, perché sono state contrattate «tre maxi riorganizzazioni senza coinvolgere le Rsu» e decise «nuove assunzioni in un numero talmente esiguo che non risolve la precarietà in Poste Italiane».
La politica non è rimasta a guardare e a vario titolo sono diversi i parlamentari intervenuti a favore di uno dei due fronti contrapposti. La segretaria del Pd Elly Schlein è stata tra i più attivi e ha denunciato la «sordità del governo rispetto alle istanze della Cgil e della Uil», stigmatizzando «il rifiuto ad ascoltare le loro ragioni e la forzatura di negare il diritto allo sciopero che è un diritto costituzionale». Poi la “benedizione” alla protesta di oggi: «Un grande sciopero di cui condividiamo le ragioni e saremo al loro fianco». Attacchi simili anche dal M5s e da Avs, mentre il schieramento opposto ha difeso in ordine sparso sia il governo sia il Garante. Esercizio in cui si è distinto il vicepresidente leghista del Senato, Gian Marco Centinaio, che ha sparato dritto su Landini, colpevole di «usare lo sciopero per le sue ambizioni politiche».