La premier Giorgia Meloni con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella - ANSA
Ufficialmente tutti predicano calma e la volontà di andare avanti. Eppure il cima nella maggioranza non è più roseo e tranquillo. Il primo vero incidente parlamentare nella maggioranza, l’altroieri (con Forza Italia che ha votato con le opposizioni e il governo andato sotto in Senato due volte, sulla conferma del taglio a 70 euro del canone Rai, chiesto dalla Lega, e su una norma sanitaria), ha lasciato il segno. Anche la giornata di giovedì è stata contrassegnata da frecciate e punture di spillo tra FI e Lega, le due forze che stanno minando l’unità della maggioranza. Ed esasperando la pazienza della premier Giorgia Meloni.
Anche dietro le quinte un nervosismo inedito traspare dalle dichiarazioni a mezza bocca di ambienti della maggioranza. E ad alimentare i retroscena ieri ha contribuito anche una notizia fatta circolare da Palazzo Chigi: una colazione di lavoro che c’è stata mercoledì, al Quirinale, fra il capo dello Stato, Sergio Mattarella, e il presidente del Consiglio, durato circa un’ora. Il Colle fa sapere che l’appuntamento era stato fissato una settimana fa, escludendo così un legame diretto con le ultime tensioni. Il menù doveva prevedere una messa a punto dopo tre importanti eventi: l’avvento della Commissione Von der Leyen II col nuovo ruolo acquisito da FdI, il viaggio di Mattarella in Cina e il G20. E fra i temi dell’incontro, definito «cordiale e collaborativo», ci sarebbero stati, oltre alla politica estera, anche la manovra e l’addio di Raffaele Fitto, il ministro (che oggi saluterà i suoi colleghi nel Cdm) divenuto vice della VdL a Bruxelles. E, quindi, il destino del Pnrr e le deleghe finora affidate a Fitto e che Meloni vorrebbe per ora ripartire fra alcuni sottosegretari a lei vicini. Sullo sfondo, poi, ci sono la “bacchettata” appena data dal Colle sul 2xmille e lo stallo pure sulla presidenza Rai. Le stesso fonti di governo si sono premurate di far sapere che incontri simili ci sono già stati in passato, ma erano rimasti coperti da riserbo. E proprio questo dettaglio autorizza le illazioni sul perché, in questa occasione, si sia voluto renderlo noto. Tanto più che il faccia a faccia è coinciso, l’altroieri, col precipitare degli eventi in commissione Bilancio del Senato; e non si può non escludere che il tema sia emerso nel colloquio. Il giorno dopo, la premier avrebbe avuto contatti con i due vice Salvini e Tajani. «È andata come doveva andare», avrebbe ragionato con i suoi. Sta di fatto che la sua ira nell’immediatezza dei fatti è trapelata, fra chi ha avuto modo di sentirla l’altroieri: attriti in una maggioranza così netta e su questioni in fondo minimali - è il suo ragionamento - non sono ammissibili, o si mette un punto o è meglio tornare alle urne. Tanto più che ai contrasti interni si sommano quelli resi evidenti dalla politica estera: ancora ieri, a Strasburgo, nel voto per la risoluzione sulle armi contro la Russia FdI e FI si sono ritrovati a votare con buona parte del Pd, mentre la Lega era schierata sul voto contrario. Posizioni divaricate anche queste non gradite sul Colle, che avrebbe fatto riciami alla stabilità. In Parlamento, poi, anche se la coalizione ha votato la fiducia a Palazzo Madama sul decreto fiscale “casus belli”, è bastata una frase del portavoce di FI, Raffaele Nevi, che ha dato del «paraculetto» a Matteo Salvini («La Lega si dia una calmata e parliamoci di più») ad accendere di nuovo gli animi. Il forzista si è poi scusato, ma sul tavolo resta la richiesta di collegialità agli alleati. Anche il leader leghista ha vestito i panni da pompiere: «Peace and love», ha detto in replica a Nevi, aggiungendo poi che non serve un rimpasto. «Nessun litigio, ora raffreddiamo le acque», è il messaggio di Tajani (FI). A minimizzare l'incidente ci prova anche Giancarlo Giorgetti: «Queste cose sono sempre accadute, non bisogna enfatizzare. L’importante è che regga la difesa». Una difesa che, in questo caso, equivale a una tregua.