domenica 6 aprile 2025
Adiba: «Ho perso tutto a causa del terrorismo. Abbiamo sofferto abbastanza, è ora che il mondo ci ascolti». Così a Sinjar, nella città che ha vissuto l’orrore, si prova a ricostruire le relazioni
Una manifestazione di donne yazide vestite in abito tradizionale nella House of Coexistence di Sinjar

Una manifestazione di donne yazide vestite in abito tradizionale nella House of Coexistence di Sinjar - House of Coexistence

COMMENTA E CONDIVIDI

Dare voce alle donne. Quando e dove non ne hanno. Perché della loro condizione ancora troppo svantaggiata si sappia e si parli. Dal Libano all’Iraq, dal Messico alla Nigeria, dall’Afghanistan alla Somalia, dall’India al Perù: sono 10 le reti indipendenti di giornaliste che hanno aderito alla nostra proposta “Donne senza frontiere”, il progetto di Avvenire per l’8 marzo 2025. A partire da quella data pubblichiamo ogni 15 giorni un reportage di ciascuna delle reti coinvolte. Questa puntata è stata realizzata dalla giornalista Juwan Shro, della Casa della Coesistenza, che ha sede a Sinjar, in Iraq.

«Ho perso tutto per colpa del Daesh. Ma non voglio che mi portino via anche la voce. Abbiamo sofferto abbastanza, ed è ora che il mondo ci ascolti»; le parole di Adiba risuonano decise. Sono trascorsi dieci anni dal genocidio del popolo yazida, ma il dolore non scompare. Il 3 agosto 2014, lo Stato Islamico lanciò un attacco contro la comunità yazida a Sinjar, nel nord dell’Iraq; migliaia di persone furono uccise, donne e bambini furono ridotti in schiavitù e l’intera comunità venne devastata. Ad oggi, sono state scoperte 93 fosse comuni, mentre in altre 40 le operazioni di esumazione non sono ancora iniziate. Oltre 2.645 yazidi risultano tuttora dispersi. In mezzo a tutta questa distruzione, le donne yazide non solo sono sopravvissute, ma sono diventate guerriere per la giustizia. Tra loro c’è Adiba Murad, una sopravvissuta yazida e membro del Sinjar Open Space Dialogue (SOS-D), un’iniziativa guidata dalla ong House of Coexistence, che riunisce 50 attivisti yazidi impegnati a promuovere il cambiamento. Come molti altri, Adiba ha trasformato la sofferenza in attivismo e ora è in prima linea a chiedere riconoscimento, giustizie e sicurezza per il suo popolo.

Le sopravvissute diventate attiviste

Molte donne yazide che hanno subito le brutalità del Daesh sono diventate leader nella loro comunità. Lamiya Haji Bashar, Farida Abbas e Shireen Kherow, tutte ex prigioniere, sono oggi autorevoli sostenitrici dei diritti umani, denunciano la violenza di genere e chiedendo giustizia. «Siamo sopravvissute, ma sopravvivere non basta. Dobbiamo lottare per la giustizia affinché nessuna ragazza debba mai più affrontare ciò che abbiamo vissuto noi», dice Lamiya, che ha dedicato la sua vita alla difesa delle sopravvissute e ora sottolinea l’importanza di far sentire la propria voce. L’attivista yazida più riconosciuta a livello internazionale è Nadia Murad, sopravvissuta alla prigionia di Daesh e prima donna yazida a ricevere il Premio Nobel per la Pace. Con il suo lavoro attraverso la Nadia Initiative ha portato la tragedia degli yazidi all’attenzione globale, esortando i leader mondiali a riconoscere il genocidio. «Voglio essere l’ultima ragazza al mondo con una storia come la mia», ripete spesso Nadia, evidenziando il suo impegno per porre fine ad atrocità come gli stupri di guerra di cui è stata vittima.


Dieci anni dopo il genocidio, due terzi del popolo yazida
sono ancora sfollati. Lamiya: «Siamo sopravvissute,
ora dobbiamo lottare affinché nessuna ragazza
subisca più le violenze che sono accadute a noi»

«Un’intera generazione vive ancora nelle tende»

Il genocidio yazida non si è concluso nel 2014, ma continua sotto forma di sfollamento, insicurezza e negligenza governativa. Mirza Dinnayi, vincitore del Premio Aurora per il Risveglio dell'Umanità e fondatore della House of Coexistence, descrive una realtà allarmante: «Dopo dieci anni la comunità yazida soffre ancora. Per alcuni versi, le conseguenze del genocidio sono peggiori dell'attacco stesso. Due terzi degli yazidi sono ancora sfollati, senza un serio piano governativo per il loro ritorno o la ricostruzione della loro terra natale. Un’intera generazione di bambini è nata nelle tende, senza sapere cosa significhi avere una casa. La giustizia ha fallito e gli yazidi non possono fidarsi delle istituzioni statali. Anche se sono cittadini iracheni, in pratica sono trattati come cittadini di terza classe».

La House of Coexistence: una piattaforma per la giustizia

La House of Coexistence (HoC) ha svolto un ruolo fondamentale nel supportare le sopravvissute yazide. Nel 2023 ha lanciato il National Women of Courage Prize (Prenio nazionale Donne coraggiose) per onorare il coraggio delle donne irachene. Il premio inaugurale è stato assegnato a Lamiya Haji Bashar per il suo straordinario impegno nella difesa dei diritti delle donne e dei bambini.

La Legge per le sopravvissute: una vittoria ritardata

Nel 2021, il Parlamento iracheno ha approvato la Legge per le sopravvissute yazide, riconoscendo il genocidio e offrendo riparazioni finanziarie, supporto psicologico e programmi di reintegrazione. Tuttavia, la sua attuazione è stata lenta e ostacolata dalla burocrazia. «Le riparazioni finanziarie da sole non bastano», afferma Lamiya Haji Bashar. «La vera giustizia significa punire i colpevoli. Ma oggi vediamo impunità: i combattenti del Daesh potrebbero essere rilasciati grazie alla Legge sull'amnistia generale». Mentre le sopravvissute yazide cercano di ricostruire le loro vite, due nuove leggi minacciano di annullare i progressi: la Legge sull'amnistia generale, che inizialmente sollevava il timore che i membri del Daesh potessero essere liberati. Tuttavia, recenti dichiarazioni ufficiali hanno escluso questa possibilità. L’altra preoccupazione riguarda le modifiche alla Legge sullo Stato Civile, approvate nel gennaio 2025, che potrebbero legalizzare il matrimonio infantile, colpendo in modo sproporzionato le ragazze yazide e appartenenti ad altre minoranze. Queste due leggi hanno suscitato forti opposizioni da parte di attivisti yazidi e organizzazioni per i diritti umani. La stessa Amnesty International ha condannato la modifica della Legge sullo Stato Civile, accusandola di violare i diritti fondamentali di donne e bambine.

Gli sfollati yazidi nei campi: la lotta per tornare a casa

Dopo quasi un decennio, oltre 200.000 yazidi vivono ancora nei campi per sfollati interni in Kurdistan. L’area di Sinjar resta instabile e pericolosa, con tensioni tra gruppi armati e infrastrutture distrutte. «Non possiamo tornare perché la situazione è pericolosa. Le nostre case sono distrutte e nessuno ci protegge », spiega Adiba Murad. Nell'agosto 2024, una nuova ondata di discorsi d’odio ha scosso la comunità yazida, alimentata da figure religiose estremiste in Kurdistan. Secondo il Sinjar Open Space Dialogue, in meno di una settimana sono stati documentati oltre un milione di messaggi d’odio contro gli yazidi. «Questo non è solo discorso d’odio, è una minaccia diretta alle vite yazide. Abbiamo già vissuto un genocidio, non possiamo permettere che la disumanizzazione si ripeta», spiega Basma Haji, attivista e membro del consiglio di House of Coexistence. Del resto, è urgente liberarsi dell’etichetta esclusiva di vittime. «Il mondo ci vede solo come vittime di Daesh. Ma siamo molto di più: leader, attiviste, educatrici. Abbiamo trasformato il nostro dolore in azione », aggiunge Basma Haji. Nonostante gli ostacoli, infatti, le donne yazide continuano a lottare per la giustizia e il riconoscimento, come ribadisce Adiba Murad: «Non siamo solo sopravvissute. Siamo guerriere. E non ci fermeremo finché non avremo giustizia».

La Casa della Coesistenza, dove si promuove la pace
Obiettivo: l'istruzione e l'emancipazione delle giovani

È un centro comunitario multiculturale situato a Sinjar, in Iraq, la Casa della Coesistenza, dedicato alla promozione della pace, della coesistenza appunto e dei diritti umani. Fondata dal vincitore del Premio Aurora 2019 Mirza Dinnayi, la Casa è anche un faro di speranza per le comunità post-belliche della regione, in particolare per le donne, i giovani e i sopravvissuti al genocidio degli yazidi del 2014. Fondata come ong indipendente senza scopo di lucro, è diventata rapidamente un attore chiave nella costruzione della pace e negli sforzi umanitari, ottenendo riconoscimenti nazionali e internazionali. La Casa funge da centro per l'istruzione, la documentazione, lo scambio culturale e il supporto terapeutico, offrendo servizi essenziali come aule di formazione, unità di cura per i sopravvissuti e strutture per le ong locali e internazionali per collaborare e fornire aiuti. La visione della Casa è radicata nella convinzione che una pace sostenibile possa essere raggiunta solo attraverso l'istruzione, l'empowerment e la riconciliazione. Il centro opera attraverso cinque pilastri fondamentali: istruzione, emancipazione di donne e ragazze, rafforzamento delle organizzazioni della società civile locale, promozione della coesione sociale e promozione di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale. Le iniziative educative del centro si concentrano sul miglioramento delle comunità poco servite, in particolare le donne e le ragazze delle zone rurali, mentre i programmi di empowerment mirano a combattere la disuguaglianza di genere e a dare alle donne una piattaforma per la leadership. La Casa è guidata da donne, e tutti i membri del consiglio di amministrazione sono donne, a testimonianza dell'impegno del centro nel dare potere alle donne e nel conferire loro ruoli di leadership nel plasmare il futuro della regione.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI