Sembra ieri quando nel gennaio 1994 Silvio Berlusconi gettò sul tavolo della politica italiana l’asso dei sondaggi di opinione. Superato lo stupore per l’entrata in scena di questa 'diavoleria' americana, il coro dei critici fu assordante: i sondaggi non avevano alcun valore. Se mai ne avevano uno, affermarono i più oltranzisti, era per chi li commissionava, ovviamente dopo averli manipolati. Nel frattempo i sondaggi di Berlusconi mostravano il crescendo elettorale della sua impresa politica che, iniziata con una manciata di punti percentuali, saliva presto al 10, poi al 15, poi al 20% delle dichiarazioni di voto, provocando nella maggioranza dei politici e dei commentatori incredulità e battute salaci.
Atteggiamenti che rapidamente evaporarono quando il 28 marzo 1994 la neonata Forza Italia raccolse il 21% dei voti, pesanti più del doppio sommandosi a quelli degli alleati del Polo della Libertà e del Polo del Buongoverno. Da quel momento i giudizi cambiarono drasticamente e, a circa sessant’anni dalle prime prove di Gallup negli Stati Uniti, i sondaggi si insediarono nel salotto buono della politica italiana per non uscirne mai più. Ovviamente i sondaggi non sono infallibili. Innanzitutto la lo- ro esecuzione deve seguire criteri rigorosi che, salvo imprevisti, forniscono una buona approssimazione degli umori degli intervistati. Da questo punto di vista i sondaggi sono e restano un mezzo e non un fine.
In una democrazia che funziona, non sono essi a decidere. Piuttosto, offrono alla politica un quadro di sfondo che il decisore deve tenere in debito conto, ma che lascia in capo a lui la responsabilità delle scelte. Questa premessa era necessaria affrontando un tema delicato e divisivo come la guerra in Ucraina. Prendere posizione sui temi strategici, in Italia, sembra più complicato per i politici che per i semplici cittadini, che dimostrano di avere le idee chiare. Ovunque gli atteggiamenti della popolazione mostrano stabilità e coerenza, oltre a una percezione della realtà che ha poco da invidiare a quella dei governi. Nel gennaio 2022 alla domanda dell’European Council on Foreign Relations circa l’eventualità di un’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il 52% degli europei la percepiva molto o abbastanza probabile.
Una conferma dell’intelligenza dei cittadini è fornita dalle rilevazioni di Difebarometro effettuate per anni da Archivio Disarmo in collaborazione con Swg. Fin dalle prime ricerche risalenti agli Euromissili negli anni Ottanta del Novecento, campioni rappresentativi dell’opinione pubblica italiana davano riposte articolate che rispecchiavano un’avanzata capacità di giudizio. Ad esempio il dissenso su specifiche scelte come quella di installare sul territorio italiano i missili americani Pershing e Cruise in risposta agli SS20 sovietici non metteva in discussione la convinta appartenenza della maggioranza degli italiani all’Alleanza Atlantica. Altrettanto interessanti, nel 2003, i giudizi sull’imminente intervento militare americano in Iraq, giustificato da Bush junior con la necessità di neutralizzare le armi di distruzione di massa attribuite a Saddam Hussein.
Come e più della popolazione di altri Paesi europei, 2 italiani su 3 non credevano a questa giustificazione, né a quella che si appellava alla lotta contro il terrorismo internazionale. Oggi nell’opinione pubblica italiana, in sintonia i maggiori Paesi europei, le grandi opzioni di fondo come l’identità occidentale e la scelta di campo per la democrazia e per una società di mercato regolata dallo Stato di diritto e socialmente riequilibrata dal welfare, sono confermate senza problemi da pressoché tutte le rilevazioni 'generaliste', come il sondaggio semestrale della Commissione Europea Eurobarometro.
Così è anche per le rilevazioni dedicate alla guerra in Ucraina. I dati di tre fra i principali istituti demoscopici italiani che abbiamo posto a confronto evidenziano che la condanna per l’invasione operata dalla Russia è netta e la simpatia per il governo russo che l’ha perpetrata è irrisoria. La giustificazione dell’invasione russa è circoscritta a un modesto 12% del totale degli intervistati, per la metà esatta costituito da simpatizzanti di destra e centro destra e solo per il 10% da sinistra e centrosinistra (Swg 23-25 marzo 2022).
La consapevolezza della giusta causa della difesa ucraina nei confronti dell’aggressione russa non impedisce alla maggioranza degli italiani di manifestare per la guerra e per le sue conseguenze una preoccupazione molto elevata che, dai picchi iniziali (tra l’86 e il 96%) di inizio marzo, nei 4 mesi successivi si è stabilizzata intorno all’80%. Una percentuale, che nei dati Ipsos sfiora la maggioranza assoluta, ritiene che l’Italia non dovrebbe intervenire militarmente, mentre un terzo circa ritiene il contrario, con al proprio interno un’esigua quota (4-6%) disponibile a inviare truppe e un 30% a inviare armi ed equipaggiamenti.
Più alti i valori rilevati da Swg (40%) ed Emg (30%), che tuttavia rimangono sempre minoranza. Con l’esplicito favore del governo Draghi e delle forze che lo sostengono (parziale eccezione la Lega e i 5stelle) l’invio di armi costituisce il principale nodo nell’ambito della politica interna. Dal punto di vista demoscopico, invece, esso rappresenta un indicatore decisivo circa la natura della solidarietà come la concepiscono gli italiani. Le accuse di egoismo implicite in numerosi commenti, se non addirittura di defezione nei confronti della causa comune, appaiono ingenerose se si considera la disponibilità, espressa nei medesimi sondaggi, a sostenere significativi sacrifici.
Nonostante i cittadini abbiano ben chiari i costi economici implicati dalle sanzioni nei confronti della Russia (citate come la più rilevante causa di preoccupazione) una netta maggioranza si dichiara favorevole alle sanzioni stesse. Un’indubbia prova di altruismo a fronte dell’eventualità (una certezza) che le sanzioni poste alle importazioni energetiche dalla Russia rappresentino un serio costo anche per chi le attua. Dunque, rispetto alla linea del governo di sostegno alla resistenza ucraina il principale oggetto di dissenso da parte dell’opinione pubblica riguarda specificamente l’aspetto militare.
La diffidenza verso l’uso della forza da parte dei nostri concittadini è un dato permanente, regolarmente confermato nei decenni. Contrariamente a quanto consigliato da qualche spin doctor, esso non può essere esorcizzato con espedienti comunicativi. Piuttosto che ricorrere ai luoghi comuni sul 'carattere' degli italiani, bisogna prendere atto dell’esistenza del pacifismo come connotato strutturale nella cultura antropologica nazionale.
Sociologo, presidente di Iriad-Archivio Disarmo