mercoledì 13 luglio 2022
Solo il 17% oggi ritiene sia giusto continuare ad inviare forniture militari a Kiev. Negli scorsi mesi i favorevoli non hanno mai superato il 49%
In pochi vogliono più armi. Sì a un'Italia mediatrice
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Sin dall’inizio della guerra i giornalisti e gli analisti politici si sono interrogati su che cosa pensano gli italiani dell’aggressione russa dell’Ucraina, se sono favorevoli o contrari a un maggiore coinvolgimento del nostro Paese nel conflitto e se ritengono opportuno o meno l’invio di armi per favorire la resistenza.

Alcuni hanno esternato il proprio stupore riguardo alla contrarietà espressa dai cittadini verso un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto (ad esempio attraverso l’invio di armi), ipotizzando che le domande dei sondaggi fossero mal poste e fuorvianti, oppure che fattori contingenti ed emotivamente coinvolgenti influenzassero i rispondenti a esprimere un parere piuttosto che un altro. Per verificare che cosa effettivamente pensano gli italiani in relazione alla guerra e alle sue conseguenze per il nostro Paese, abbiamo messo a confronto i sondaggi effettuati dall’inizio del conflitto da tre accreditati istituti: Ipsos, Swg e Emg Different. La preoccupazione degli italiani per la guerra è sempre molto elevata (mai inferiore all’80%) ma registra nel tempo la tendenza verso una lieve riduzione. Difficilmente essa può essere attribuita a prospettive di soluzione del conflitto, il quale al contrario va aumentando di intensità.

Comunque il fattore tempo riveste un peso importante nelle guerre e si manifesta sul campo sotto forma di 'attrito' e nell’opinione pubblica internazionale sotto forma di assuefazione. Le stesse oscillazioni della preoccupazione appaiono abbastanza limitate, tranne che in concomitanza di singoli eventi che suscitano un eccezionale scalpore, quali l’eccidio di Bucha. Per quanto riguarda le motivazioni della preoccupazione, l’opinione pubblica dichiara la sua inquietudine anzitutto per le ripercussioni economiche del conflitto, seguìta dal timore per la sua possibile estensione. La gestione dei profughi, invece, viene citata per ultima come un problema relativamente gestibile. A proposito poi del cruciale tema dell’invio di armamenti a sostegno della resistenza ucraina, il consenso dell’opinione pubblica italiana è tutt’altro che trascurabile, ma comunque minoritario.

Pur variando leggermente da una rilevazione all’altra, la percentuale dei fautori dell’invio delle armi non supera mai quella dei contrari, neppure nella più favorevole delle rilevazioni, quella di Swg che da marzo a maggio si attesta intorno al 40%, con una punta del 49% il 15 aprile. Particolarmente interessante l’approfondimento di Ipsos circa le opzioni del nostro Paese. L’Istituto di sondaggi chiede infatti ai propri intervistati cosa dovrebbe fare l’Italia rispetto alla guerra in Ucraina. La percentuale di chi auspica l’intervento diretto della Nato nel conflitto è bassa, con il minimo del 5% registrato il 20 maggio.

Non sono poi molti gli italiani (con un picco del 17% nella stessa data) che ritengono che il nostro Paese debba proseguire a inviare armi all’Ucraina. Con maggiore favore (+5 punti percentuali) è vista l’opzione di mantenere le sanzioni ma smettere di mandare armi. Al netto della percentuale di chi non esprime la propria opinione, la maggioranza relativa degli intervistati auspica (tranne che nella rilevazione del 20 maggio) il ritiro delle sanzioni e l’assunzione da parte dell’Italia di un ruolo di mediazione.

Ricercatrice sociale, segretaria generale di Iriad-Archivio Disarmo

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