«Da dove vieni?», «Come mai parli così bene l’italiano?», «Ce l’hai il permesso di soggiorno?». Ho discusso molte volte sulle domande che i miei connazionali mi hanno posto, quotidianamente, fin da piccolo. Ne ho persino scritto un libro: "I 19 giorni di Lomé".Nel 1982 avevo solo 10 mesi quando i miei genitori milanesi mi adottarono in Togo, un piccolo Paese dell’Africa occidentale. E per decenni ho vissuto vari livelli di discriminazione. Per esempio nei locali, quando il proprietario non voleva farmi entrare se non accompagnato da una donna, neanche fossi un animale pericoloso. Oppure fuori dalla mia parrocchia, quando mi veniva fatta l’elemosina perché ero appoggiato al muro mentre aspettavo i miei amici. Anche con le forze dell’ordine non è facile: quasi ogni volta che passo per gli aeroporti italiani vengo perquisito; spesso mentre cammino per strada vengo controllato; alla guida dell’auto di mio padre il poliziotto che mi ferma, come prima cosa, mi chiede se l’ho rubata.Per fortuna, grazie al passaporto italiano, ho evitato il peggio. Ma ho definitivamente lasciato il nostro "Bel Paese", nove anni fa. Non solo per i casi di discriminazione, ma anche perché avevo voglia di cercare le mie radici. Così, appassionato di giornalismo, ho iniziato a scrivere dall’Africa. E da 18 mesi, come direbbero i leghisti, me ne sono tornato al mio Paese. Ma con piacere, e con un certo senso del dovere, ogni anno passo alcune settimane in Italia. §A volte partecipo a qualche trasmissione o conferenza sul tema del razzismo. Un fenomeno che, soprattutto negli ultimi anni, è cambiato e ci ha cambiati. Adesso, i cosiddetti "afroitaliani" sono molti di più rispetto ai miei tempi.Mentre alle elementari ero l’unico nero, nelle scuole di oggi le più giovani generazioni si abituano a crescere con compagni di banco che hanno differenti origini e colori di pelle. In Italia, però, ci sono ancora pochissimi impiegati statali di un colore diverso dal bianco rispetto a ciò che vedo in altri Paesi europei. L’immigrazione viene spesso politicizzata e sfruttata in chiave elettorale. Non è questione di destra, centro o sinistra: l’immigrazione è considerata un ostacolo da chi continua a vivere nel passato, mentre è una grande opportunità per chi vuole guardare al futuro.