«Sul governo la Parola passa al Pd», dice Giorgio Napolitano dal Portogallo, rispondendo ai giornalisti. «Ma serve stabilità, specie in vista del semestre italiano e Renzi mi ha dato rassicurazioni». E se la direzione del partito di maggioranza relativa, e spina dorsale non solo delle larghe intese ma anche del dialogo sulle riforme, dovesse dare unitariamente un’indicazione sul segretario del Pd il Quirinale non potrà che tenerne conto. È questo il ragionamento del capo dello Stato svolto ieri con numerosi interlocutori. «In tal caso non potrò che prenderne atto». Non è ancora il via libera al Renzi 1, ma è quanto meno il
nihil obstat, e vista la piega che ha preso il dibattito politico l’esito potrebbe non essere diverso.Ma non è - come pure si dice in queste ore frettolosamente - la fine dell’asse di Napolitano con Enrico Letta. Tutt’altro. Il ragionamento che porta avanti, parte proprio dal ruolo dell’attuale premier. «Ancora una volta a Strasburgo ho potuto riscontrare di quale stima goda presso le istituzioni europee, e una risorsa come lui non può essere dispersa», insiste in queste ore il presidente. Dunque, il passaggio che si aspetta entro domani è un accordo pieno e leale fra i due contendenti, che apra a una prospettiva chiara. Con due scenari possibili, che il Quirinale continua a considerare in una graduatoria logica ben precisa. La prima era e resta il rafforzamento dell’esecutivo attuale con l’inserimento di personalità gradite alla nuova leadership del Pd, in grado di garantire un cammino più spedito al programma di governo e nel contempo al dialogo sulle riforme. Ma la novità è nell’ipotesi due, che prevede un possibile incarico a Renzi che salvaguardi l’attuale base parlamentare della maggioranza. Senza escludere nuovi apporti con la formula dell’appoggio esterno, ad esempio da parte di Sel, ma anche - inaspettata - una possibile apertura di credito dalla Lega, chiaramente interessata a una versione finale non penalizzante della legge elettorale. Fra le valutazioni anche l’orizzonte temporale, che con Renzi potrebbe prolungarsi, persino fino alla fine naturale della legislatura.Napolitano è molto grato al sindaco di Firenze per la sua iniziativa sulle riforme e di certo fra i due la diffidenza iniziale è superata. Ma la condizione imprescindibile che pone è che fra il segretario del Pd e il premier attuale vi sia una soluzione lineare e concordata. Certo, non essendoci stata una sfiducia delle Camere non sarà certo Napolitano a spingere Letta alla resa. Ma neanche potrà essere il Quirinale a puntellare in eterno un esecutivo paralizzato dai veti e una maggioranza più striminzita e più litigiosa. Restano quindi 48 ore per decidere, dopodiché Napolitano prenderà atto. Ma se toccherà a Renzi la condizione è che Letta sia ancora della partita. Napolitano non ha parlato di incarichi, ma l’identikit di quello con cui il capo dello Stato ha chiesto che venga - nell’ipotesi due - salvaguardato il ruolo di Letta «per non sprecare il prestigio che ha guadagnato in Europa» portano a una soluzione sola: la possibile investitura dell’attuale premier quale ministro dell’Economia nel nuovo esecutivo Renzi. Un finale che neanche gli amanti dei romanzi gialli avrebbe potuto scrivere. Ma in politica - si sa - mai dire mai.