Nella giornata più tribolata del suo anno vissuto a Palazzo Chigi, Mario Monti si appella a quel "governo del fare" che resta la cifra primaria dell’esecutivo dei tecnici: «Noi facciamo il nostro normale lavoro, che non ci manca». Resta, il Professore, in attesa delle «valutazioni» che farà il capo dello Stato. Dopo lunghissime ore di silenzio, il presidente del Consiglio (che in mattinata era andato in Senato per votare la fiducia al decreto sviluppo) si materializza in sala stampa alle 18 e 30, al termine dell’ennesimo Consiglio dei ministri-fiume che ha varato il decreto delegato sulla non candidabilità. A Palazzo Chigi si nega amarezza per un governo che ora non avrebbe più la maggioranza alle Camere. In ogni caso il premier dissimula i sentimenti. E nega collegamenti fra i due eventi (il provvedimento varato dal governo e l’inversione di rotta del Pdl): «Non appartiene al governo fare processi alle intenzioni».Monti non è salito ieri al Quirinale per riferire al capo dello Stato, ma l’appuntamento è probabilmente solo rimandato: il colloquio con il patrocinatore di quello che è stato anche definito "il governo del Presidente" (nel senso di Napolitano) ci sarà, ma non prima della visita che al Colle farà questa mattina Angelino Alfano, il segretario del Pdl. La bussola che guida in queste ore l’azione e le riflessioni del capo del governo resta orientata all’andare avanti, ai tanti provvedimenti ancora in cantiere. Egli stesso, nella conferenza stampa, ci tiene a precisare che la legge sulle "liste pulite", così come quella (precedente) anti-corruzione, «preesistono alla formazione di questo governo, che peraltro è ben consapevole della rilevanza della materia per un’economia moderna e una politica trasparente». Nell’ufficialità Monti smussa ripetutamente i toni. Gli chiedono dello spread di nuovo in brusca risalita e lui risponde: «Non trovo particolarmente interessante, né utile soprattutto se fatto da me, l’esercizio di attribuire meriti o responsabilità» su questo punto. Gli viene chiesto pure del giudizio dato di prima mattina dal ministro dello Sviluppo sull’eventuale ritorno del Cavaliere e lui resta "neutro": «Oggi ho parlato con Passera, non delle sue dichiarazioni», è la risposta, condita solo dalla postilla che «singole dichiarazioni possono essere più o meno felici, io stesso ne sono stato protagonista, bisogna sempre considerare il contesto». Mentre dal ministero di via Veneto manifestano «stupore» per l’effetto avuto dalle parole dette ieri a Rai3 da Passera.Una cosa, però, Monti ci tiene a rivendicare, nell’ora in cui il partito principale della sua "strana maggioranza" gli volta le spalle: l’aver sempre tenuto aperto il canale di dialogo con le forze politiche. Alfano più tardi sarà esplicito, citando gli impegni non mantenuti su intercettazioni e responsabilità civile dei giudici. Fonti di Palazzo Chigi replicano che «si è sempre cercato di tenere in piedi i tre bracci» del capitolo giustizia (il terzo è appunto l’anti-corruzione), sono state le frizioni fra i partiti a non aver consentito un percorso parallelo, non certo una volontà del governo. Che si è preoccupato di «lavorare sodo, non solo in Italia», per mettere il Paese «in sicurezza», come il premier aveva detto qualche ora prima in un video-messaggio inviato al congresso Pde a Bruxelles. Ora tutto è nelle mani di Napolitano. Col quale, magari, Monti si confronterà anche su quell’esplicito appoggio alle richieste dei Comuni dato ieri dal capo dello Stato sull’Imu.