I dubbi che animano il professore sono veri. E il modo in cui parla a margine della cerimonia per il Nobel all’Ue ne è la prova. L’uomo delle istituzioni, la 'riserva della Repubblica', getta acqua sull’incendio dello spread dicendo che «la reazione dei mercati è comprensibile ma non bisogna drammatizzare », che «i mercati non devono temere vuoti decisionali perché il governo resterà in carica nel pieno delle sue funzioni sino alla fine ». Non solo: si sbilancia, Monti, per assicurare che i futuri governi saranno «responsabili », non verranno meno agli impegni comunitari e anzi saranno «protagonisti» della nuova costruzione europea. L’altra faccia della medaglia ha il volto di un 'tecnico' che parla da gran politico: « Ora non considero la questione, sono concentrato sul restante lavoro da fare». Sarà, ma quanto resta della sua conferenza stampa a Oslo ha il sapore della sfida elettorale: «In Europa dobbiamo stare molto, molto attenti a rigurgiti di populismo e nazionalismo», dice riprendendo un suo cavallo di battaglia. Poi il cerchio si stringe sull’Italia: «In campagna elettorale nessuno pensi che i cittadini siano sciocchi e immaturi. Gli italiani, anche i ragazzi, hanno capito bene i nostri problemi».
Ma la tentazione dell’impegno diretto traspare soprattutto quando Monti si difende dalle «mistificazioni» in tema di politica economica. Un affondo diretto - è l’ammissione del suo staff - contro il Pdl: «È privo di fondamento, per chi capisce qualcosa di economia, pensare che chi ha dovuto porre riparo alle inazioni e alle carenze precedenti potesse, con una terapia così intensa in modo da evitare una crisi gravissima per l’Italia e per l’Europa, arrivare subito a dei risultati di crescita ». E poi - a conferma che qualcosa si sta muovendo - c’è il caso dell’incrocio televisivo con Berlusconi fatto saltare in extremis dal Cavaliere: l’ex premier avrebbe dovuto parlare su Canale 5 alle 8.40, Monti sarà su Rai 1 alle 9, ufficialmente per presentare il suo progetto di promozione dell’Ue nelle scuole.
Se Berlusconi avesse portato un nuovo attacco, il professore - assicurano i suoi - avrebbe reagito in tempo reale, senza diplomazie. Il punto è che il premier sarebbe comunque pronto a dire «sì» a una candidatura indiretta. Avrebbe già dato all’Udc e a Verso la terza Repubblica la licenza di 'usare' il suo nome e la sua agenda. «Fate pure. Se vogliono, possono farlo pure Pd e Pdl...», ragiona il premier. E c’è chi pensa che un appoggio informale non pregiudicherebbe il profilo istituzionale di SuperMario. Ma è davvero così? E poi fare le cose a metà non è nell’indole e nella storia del professore. Chi lo pressa (i 'popolari' del Pdl, i centristi, il nuovo movimento di Montezemolo, Riccardi e Olivero, diversi ministri, i moderati del Pd ansiosi di scalzare Vendola) sa infatti bene che senza di lui il progetto si ridimensionerebbe. Il premier lo capisce, ma chiede tempo adducendo un «motivo serio»: «Il Colle teme una campagna elettorale che sfoci nell’instabilità, potrebbe aver bisogno di me dopo il voto. Ma come può chiamarmi se rinuncio alla mia terzietà?».
Ecco l’ultimo tormento del professore. Eppure ormai bisogna scegliere. Con le urne aperte il 17 o il 24 febbario l’ipotesi è che le Camere siano sciolte il 26 dicembre. E il fatto che tra un mese occorra già presentare le liste mette una fretta terribile. Se anche si volesse fissare l’annuncio ufficiale al giorno successivo all’approvazione del ddl-stabilità, oppure al 21 dicembre - giorno dell’incontro di fine anno con la stampa - , c’è l’urgenza di riferire la decisione all’Ue, alle orecchie discrete dei mercati e ai colonnelli pronti ad organizzare la campagna elettorale. Entro 48 ore. Non un minuto di più, dato il ritardo già accumulato.
Marco Iasevoli