giovedì 1 marzo 2012
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Ai microfoni di Radio Vaticana, giovedì pomeriggio, l’arcivescovo di Torino e presidente Cep è  intervenuto in merito alle proteste in corso in Val di Susa e nel resto d’Italia  contro la  realizzazione della ferrovia Torino-Lione. Innanzitutto desidero esprimere la mia vicinanza a Luca Abbà che 
in questo momento è in gravi condizioni all’ospedale. Mi auguro che
 possa guarire presto e per questo prego Dio, per lui, per i suoi
 famigliari, che gli sono accanto, e per quanti condividono la sua 
sofferenza. Poi, credo che quanto sta accadendo in tutta Italia, da
 parte di gruppi che contestano la Tav, vada oltre il puro, complesso e
spinoso problema che interessa la Val di Susa, il Piemonte, e segnali 
un disagio sociale più vasto, che sta crescendo in seguito anche alle
 difficoltà che derivano dalla crisi economica che stiamo 
attraversando. Credo che proprio dentro questo contesto più ampio si 
inseriscono frange che fanno della violenza e della lotta contro lo
 Stato il loro obiettivo, strumentalizzando la questione vissuta in Val
di Susa. Mi permetto di rivolgere un forte invito ai cristiani e a 
tutti gli uomini di buona volontà che abitano in Val di Susa affinché 
operino per abbassare la tensione che genera contrapposizioni, scontri
 violenti, isolando gli estremisti e riaffermando le proprie ragioni ma 
attraverso quelle vie legali, pubbliche, che la nostra democrazia 
offre.La sensazione è che emerga proprio l’assenza della mediazione da 
parte della politica…Credo che per un po’ di tempo, certamente, c’è stata questa
 mancanza, questo pendolarismo ondeggiante della politica tra il sì e 
il no, almeno in certe forze politiche. Ma mi pare che da un certo 
tempo in avanti, in questi ultimi anni, la politica ha cercato la
mediazione e pur di fronte a valutazioni differenti circa  la 
positività o meno dell’opera, sia per lo più contraria a ogni forma di
 comportamenti violenti e illegali che poi si ritorcono di fatto contro 
quanti manifestano pacificamente e legittimamente. La cosa più
 negativa sarebbe che la politica e le istituzioni non manifestassero 
posizioni chiare e concordi contro ogni forma palese o larvata di
legittimazione della violenza. La cosa più positiva da parte della
p olitica resta l’impegno di sostenere un serio e continuo dialogo con
 la popolazione locale che è quella più interessata e coinvolta
 nell’opera, nel tentativo, certamente difficile, ma non impossibile,
di mediare di fronte a una situazione complessa.In questa situazione quale, invece, può essere il ruolo della
 Chiesa piemontese?Riconosco, e va riconosciuto da tutti, alla Chiesa locale di 
Susa, al suo vescovo, come agli organismi regionali, che hanno assunto
 una posizione di grande equilibrio. Credo che sia compito della Chiesa 
proprio quello di richiamare tutti a trovare vie di soluzioni a
 problemi complessi, nell’attenzione alle varie posizioni in causa ma 
favorendo sempre il rispetto della legalità, il dialogo non teorico
 sui principi ma su fatti, su problemi, su esigenze concrete della 
gente, con uno spirito aperto al confronto basato sul reciproco
 ascolto e sulla collaborazione libera da posizioni di puro stampo 
ideologico, ovviamente.Questa vicenda pone un’altra riflessione e cioè la difficoltà tra
 le volontà del potere nazionale ed europeo e un sentire locale che non
 coincidono per niente, non è l’unico caso...Ha ragione, non è l’unico caso, perché succede ed è successo in
tante parti che i programmi nazionali e sovranazionali a volte
 confliggono con quelli locali. Allora in questo caso è necessario che 
si attivino tutte quelle vie democratiche perché si giunga a soluzioni
 che non passino sulla testa della gente senza averla ascoltata e per
 quanto possibile ne accolgano le osservazioni, le indicazioni. Mi pare
che in Val di Susa è da oltre 20 anni che ci si trova di fronte a 
questo problema per raggiungere un punto di incontro che
 salvaguardasse l’habitat e la salute dei cittadini e desse risposte 
appropriate alle varie obiezioni sollevate dalla popolazione. A questo
 punto, però, esiste una decisione che gli organi preposti dello Stato 
hanno preso e credo che alla fine bisognava che qualcuno dovesse 
decidere per non trascinare in avanti all’infinito un problema del
 genere. Questa decisione può essere certamente in modo legittimo 
contestata ma con metodi democratici e civili, privi di ogni forma di
violenza, sia verso i lavoratori che operano nel cantiere, sia verso
le forze dell’ordine, che devono far rispettare la legge a tutti nel
territorio. Tuttavia resta sempre decisivo che l’opera, se si farà,
 dovrà corrispondere a tutte quelle garanzie che le popolazioni locali 
hanno più volte espresse e documentate nelle diverse sedi
 istituzionali.
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