Ai microfoni di Radio Vaticana, giovedì pomeriggio, l’arcivescovo di Torino e presidente Cep è intervenuto in merito alle proteste in corso in Val di Susa e nel resto d’Italia contro la realizzazione della ferrovia Torino-Lione. Innanzitutto desidero esprimere la mia vicinanza a Luca Abbà che
in questo momento è in gravi condizioni all’ospedale. Mi auguro che
possa guarire presto e per questo prego Dio, per lui, per i suoi
famigliari, che gli sono accanto, e per quanti condividono la sua
sofferenza. Poi, credo che quanto sta accadendo in tutta Italia, da
parte di gruppi che contestano la Tav, vada oltre il puro, complesso e
spinoso problema che interessa la Val di Susa, il Piemonte, e segnali
un disagio sociale più vasto, che sta crescendo in seguito anche alle
difficoltà che derivano dalla crisi economica che stiamo
attraversando. Credo che proprio dentro questo contesto più ampio si
inseriscono frange che fanno della violenza e della lotta contro lo
Stato il loro obiettivo, strumentalizzando la questione vissuta in Val
di Susa. Mi permetto di rivolgere un forte invito ai cristiani e a
tutti gli uomini di buona volontà che abitano in Val di Susa affinché
operino per abbassare la tensione che genera contrapposizioni, scontri
violenti, isolando gli estremisti e riaffermando le proprie ragioni ma
attraverso quelle vie legali, pubbliche, che la nostra democrazia
offre.La sensazione è che emerga proprio l’assenza della mediazione da
parte della politica…Credo che per un po’ di tempo, certamente, c’è stata questa
mancanza, questo pendolarismo ondeggiante della politica tra il sì e
il no, almeno in certe forze politiche. Ma mi pare che da un certo
tempo in avanti, in questi ultimi anni, la politica ha cercato la
mediazione e pur di fronte a valutazioni differenti circa la
positività o meno dell’opera, sia per lo più contraria a ogni forma di
comportamenti violenti e illegali che poi si ritorcono di fatto contro
quanti manifestano pacificamente e legittimamente. La cosa più
negativa sarebbe che la politica e le istituzioni non manifestassero
posizioni chiare e concordi contro ogni forma palese o larvata di
legittimazione della violenza. La cosa più positiva da parte della
p olitica resta l’impegno di sostenere un serio e continuo dialogo con
la popolazione locale che è quella più interessata e coinvolta
nell’opera, nel tentativo, certamente difficile, ma non impossibile,
di mediare di fronte a una situazione complessa.In questa situazione quale, invece, può essere il ruolo della
Chiesa piemontese?Riconosco, e va riconosciuto da tutti, alla Chiesa locale di
Susa, al suo vescovo, come agli organismi regionali, che hanno assunto
una posizione di grande equilibrio. Credo che sia compito della Chiesa
proprio quello di richiamare tutti a trovare vie di soluzioni a
problemi complessi, nell’attenzione alle varie posizioni in causa ma
favorendo sempre il rispetto della legalità, il dialogo non teorico
sui principi ma su fatti, su problemi, su esigenze concrete della
gente, con uno spirito aperto al confronto basato sul reciproco
ascolto e sulla collaborazione libera da posizioni di puro stampo
ideologico, ovviamente.Questa vicenda pone un’altra riflessione e cioè la difficoltà tra
le volontà del potere nazionale ed europeo e un sentire locale che non
coincidono per niente, non è l’unico caso...Ha ragione, non è l’unico caso, perché succede ed è successo in
tante parti che i programmi nazionali e sovranazionali a volte
confliggono con quelli locali. Allora in questo caso è necessario che
si attivino tutte quelle vie democratiche perché si giunga a soluzioni
che non passino sulla testa della gente senza averla ascoltata e per
quanto possibile ne accolgano le osservazioni, le indicazioni. Mi pare
che in Val di Susa è da oltre 20 anni che ci si trova di fronte a
questo problema per raggiungere un punto di incontro che
salvaguardasse l’habitat e la salute dei cittadini e desse risposte
appropriate alle varie obiezioni sollevate dalla popolazione. A questo
punto, però, esiste una decisione che gli organi preposti dello Stato
hanno preso e credo che alla fine bisognava che qualcuno dovesse
decidere per non trascinare in avanti all’infinito un problema del
genere. Questa decisione può essere certamente in modo legittimo
contestata ma con metodi democratici e civili, privi di ogni forma di
violenza, sia verso i lavoratori che operano nel cantiere, sia verso
le forze dell’ordine, che devono far rispettare la legge a tutti nel
territorio. Tuttavia resta sempre decisivo che l’opera, se si farà,
dovrà corrispondere a tutte quelle garanzie che le popolazioni locali
hanno più volte espresse e documentate nelle diverse sedi
istituzionali.
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