Riccardo Molinari. - Ansa
Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, quale posizione porterete a Draghi?
Non diciamo «sì o «no» a prescindere. È doveroso, visto l’appello di Matterella, il confronto con il premier incaricato. Vogliamo capire la sua idea sulla formazione di governo e su quali punti programmatici si vuol impegnare. E se vuole durare per tutti i due anni di fine legislatura.
Partiamo dalla prospettiva temporale.
La priorità per noi sarebbe stata il voto anticipato. Quindi, saremmo più propensi a un governo con una data certa.
Secondo punto, la formazione. Quali forze mettereste in campo?
Se il governo dovrà essere politico e se ne faremo parte, dovrà assumersi la responsabilità di scelte importanti. È chiaro che a quel punto dovremo mettere in campo le figure di primo piano. Penso, prima di tutti, al segretario Salvini. Il resto si vedrà.
Come superare il veto del Pd?
Il Pd vuole la stessa maggioranza giallo-rossa più Forza Italia come stampella. Ma ora nessun partito può mettere veti. Pure noi non esultiamo alla prospettiva di governare con il Pd. Anzi, riteniamo che una discontinuità debba esserci soprattutto sul M5s, responsabile del fallimento dei due governi precedenti. È difficile per noi una maggioranza con loro.
Avete già dato.
Esatto. Detto questo, non mettiamo veti. Questi nasceranno sulle proposte di programma. Su Recovery fund, risorse per le infrastrutture, riforme, pensioni, lavoro, capiremo chi può starci o no.
Salvini ha detto che vuole 'tutti dentro'. Quale margine c’è per recuperare Fdi?
Sono sbagliati sia l’atteggiamento di Meloni, sia di Fi: il «no» e il «sì» prima di incontrare Draghi. È chiaro che così il centrodestra perde molto peso contrattuale. Se si fosse presentato unito e con sue proposte, sicuramente avremmo avuto più possibilità di portare a casa i risultati che ci chiede il nostro elettorato.
Se voi e Fi entraste e Fdi no, ci sarebbero contraccolpi per la coalizione?
Con la divisione, certo. Ma diciamolo senza ipocrisie: molto dipenderà dalla legge elettorale. Se resta questa, è chiaro che sarà interesse di tutti, per essere competitivi, trovare una sintesi per presentarsi nei collegi uninominali. È il motivo per cui Zingaretti sta cercando di tenersi unito al M5s.
E per la Lega?
Il Consiglio federale giovedì si è chiuso con una visione unitaria. Poi, è vero che soprattutto gli amministratori locali, anche del Centro-Sud, vedono il nostro ingresso al governo come un’opportunità, per il Recovery fund. Ma anche la parte più eurocritica non ha detto «mai con Draghi».
Un nome, Bagnai. Ma vi ritrovereste con l’europeismo di Draghi?
Veniamo identificati come quelli che devono cambiare pelle e diventare più europeisti. Però Draghi è noto per il famoso « whatever it takes », che ha scombussolato i dogmi europei. Quindi è stata un’operazione molto più le- ghista di quanto dicono gli europeisti.
Addirittura?
Certo. Da sempre diciamo che è necessario che la Bce funzioni da prestatore di ultima istanza. Draghi ha fatto un passo in avanti per mutare l’Europa dell’austerità in un’Europa più attenta agli interessi dei vari Stati e alla loro tenuta sociale. Non siamo antieuropeisti, abbiamo una posizione critica su alcune rigidità europee, che la pandemia ha messo in crisi. Forse, dunque, tutti i torti non li avevamo.
Su 'Quota 100' e immigrazione la mediazione sarà difficile. E un’eventuale conferma di Lamorgese sarebbe per voi un problema?
Non mettiamo veti, ma serve discontinuità. Pensare che Draghi possa essere semplicemente la continuazione di Conte sarebbe sminuirlo. Perciò, se i partiti vogliono confermare le stesse persone, almeno ci sia una rotazione. Sulle politiche migratorie può esserci un punto di mediazione, ma non si possono prendere per buoni gli ultimi decreti fatti da Lamorgese, smontando quelli di Salvini. Rinnovare 'Quota 100', poi, non costa tanto, in un contesto di 160 miliardi di sforamento. O si può rendere strutturale 'quota 41'. Sicuramente vogliamo superare la Fornero.
L’accenno di Draghi al futuro dei giovani può far pensare diversamente.
Ne parleremo. Draghi ha ragione sul fatto che bisogna investire sul welfare per i giovani. Ma, visto che il reddito di cittadinanza non funziona, si possono redistribuire le risorse in modo diverso. Una cosa non esclude l’altra.