La Sea-Watch 3 ormeggiata a fianco della Mare Jonio
Sul ponte della Sea Watch l’indomito Kim sistema le cime, più simili alle sue trecce rasta. A bordo della nave dissequestrata dopo l’inchiesta sulla capitana Carola Rackete, il ragazzo non ha tempo per calcolare l’infinito numero di vite salvate in questi anni. Deve ultimare i preparativi per riprendere il largo. Il profilo del vascello umanitario, ormeggiato di fianco all’italiana Mare Jonio, è ormai parte del paesaggio. Presto se ne andranno. Chi invece dovrà tornare davanti ai magistrati sono i vertici del ministero dell’Interno, che già lasciano cadere ogni responsabilità su Matteo Salvini.
Lo scaricabarile è appena all’inizio. Nel corso di alcune acquisizioni sommarie è stato indicato il nome del ministro uscente quale unico regista dei presunti “abusi” denunciati dal procuratore Patronaggio.
Nell’ordinanza con cui la procura ha disposto lo sbarco dalla Open Arms ci sono accuse precise anche alla prefettura di Agrigento (competente su Lampedusa), che non avrebbe neanche ottemperato all’ordine del Tar del Lazio, che chiedeva l’immediata discesa dei migranti. Inoltre, non è stato tenuto in conto neanche il suggerimento all’attracco immediato firmato dal Comando delle capitanerie di porto. I funzionari coinvolti, com’era prevedibile, indicano nel “vertice politico” le scelte tradotte poi sul campo. Ma ci vorrà tempo, però, prima di iscrivere il quasi ex ministro dell’Interno sul registro degli indagati. Un avviso di garanzia, infatti, trasferirebbe automaticamente l’inchiesta al tribunale dei ministri di Palermo. Un passaggio a cui gli investigatori agrigentini intendono eventualmente arrivare solo dopo avere consolidato la montagna di riscontri di questi mesi.
Nella città dei Templi, infatti, da mesi lavorano su anomalie e reati che sarebbero stati ripetutamente commessi anche prima dell’entrata in vigore dell’ultimo decreto sicurezza. A cominciare dal mancato rispetto delle «Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito» e che sono «un limite alla potestà legislativa dello Stato – ricorda l’ordinanza del procuratore – ai sensi degli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione e non possono, pertanto, costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’Autorità politica, ponendosi su un piano gerarchico sovraordinato rispetto alla fonte primaria».
L’obbligo di salvataggio delle vite in mare, peraltro, «costituisce un dovere degli Stati e prevale sulle norme e sugli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare».
Quello che va emergendo è una sorta di “Protocollo Salvini” (in passato adottato anche con il coinvolgimento del ministero della Difesa e quello delle Infrastrutture) con cui sarebbero state schiacciate norme costituzionali, trattati internazionali e anche ordini dei tribunali. Come quello del Tar del Lazio che la scorsa settimana ha chiesto lo sbarco urgente dei migranti. Un giallo nel giallo, questo.
Venerdì scorso un nucleo di agenti del Servizio centrale operativo di Polizia aveva raggiunto su delega della procura di Agrigento gli uffici di vertice del ministero dell’Interno. L’ordine era chiaro: ottenere la copia di tutti i documenti e le comunicazioni su Open Arms partiti dal gabinetto del ministro e dal Dipartimento Immigrazione del Viminale. Sul momento l’incartamento non è stato consegnato, con la promessa che sarebbe stato successivamente «raccolto e inviato» ad Agrigento. Un atteggiamento senza precedenti mentre, nelle stesse ore, Matteo Salvini annunciava un ricorso urgente al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar del Lazio che aveva sollecitato lo sbarco dei migranti. E lunedì dal Consiglio di Stato hanno fatto sapere che nessuna decisione era imminente, semplicemente perché nessun ricorso era mai arrivato dal Viminale.
Il giudice delle indagini preliminari dovrà decidere entro questa sera se convalidare o riformare le decisioni della procura. Ma c’è un altro passaggio nell’ordinanza di Patronaggio che suona come un ceffone al nuovo vertice del Poliambulatorio di Lampedusa. Il dottor Francesco Cascio, che ha preso il posto dell’ora europarlamentare Pietro Bartolo, aveva assicurato che a bordo della Open Arms non vi fosse alcuna emergenza sanitaria e la situazione fosse governabile.
Al contrario, il verbale dei medici della Sanità marittima di Agrigento inviati proprio dalla procura «dava atto che i migranti occupavano interamente il ponte della nave adagiati sul pavimento, avevano a disposizione due soli bagni alla turca (che utilizzavano anche come docce) e che i migranti apparivano provati fisicamente e psicologicamente, pur mostrandosi calmi e collaboranti». Non bastasse, una serie di 19 foto illustrava «nella loro immediata crudezza, più delle parole scritte, l’evidente sovraffollamento della nave e - precisa il procuratore - le pessime condizioni in cui si trovavano i migranti a bordo».