La rotta della petroliera che sta deportando 27 profughi in Libia
Appena lunedì Papa Francesco aveva parlato ai vescovi italiani del dramma dei “lager libici” e della necessità di non tacere quando migranti e profughi vengono rinchiusi nei centri di detenzione, spesso dopo le intercettazioni in mare da parte della cosiddetta Guardia costiera libica. E proprio in queste ore sta per compiersi un nuovo respingimento in mare dai contorni ancora poco chiari.
Un gruppo di 27 naufraghi salpati a bordo di un barcone dalle coste libiche non lontano da Bengasi, nell’area fuori dal controllo delle autorità di Tripoli, è stato soccorso da una petroliera che anziché dirigersi verso le coste di Paesi europei, sta conducendo il gruppo verso la Libia e di nuovo verso uno dei porti sotto l’egemonia degli uomini di Haftar.
A quanto si apprende da fonti ufficiali italiane, il coordinamento del soccorso era stato inizialmente assunto dalla centrale di Roma, ma nonostante l’intervento italiano si sta svolgendo un respingimento vietato dalle convenzioni internazionali.
La petroliera “Long Beach”, battente bandiera delle Isole Marshall, risulta gestita da armatori greci e proveniva dal porto di Trieste dove fa spesso scalo dopo aver caricato idrocarburi proprio in Libia.
La barca in pericolo era stata individuata non solo grazie alle chiamate di soccorso ad “Alarm Phone”, il “centralino umanitario” che raccoglie gli Sos dal mare, ma anche da “Seabird”, il velivolo di osservazione di Sea Watch che ha poi fornito le esatte coordinate alle autorità. “Ci risulta che il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma abbia assunto il coordinamento del caso e abbia diretto sulla posizione indicata più di una nave mercantile”, si legge in una nita della piattaforma umanitaria italiana “Mediterranea”.
Una conferma indiretta arriva proprio dalla Guardia costiera italiana, che però respinge ogni accusa. "Il Centro di coordinamento e soccorso marittimo di Roma - è la ricostruzione della Guardia costiera - nella notte scorsa ha cooperato, conformemente a quanto previsto dalle vigenti Convenzioni internazionali sul soccorso marittimo, con l'omologo Centro di coordinamento marittimo della Guardia costiera libica, nell'ambito di un evento occorso all'interno dell'area di responsabilità di quel Paese". Il respingimento dunque c'è stato. "Le unità mercantili coinvolte in questa attività di soccorso - precisa la Guardia costiera italiana - sebbene inizialmente contattate dal Centro di soccorso italiano, hanno successivamente ricevuto le istruzioni direttamente dall'Autorità libica, competente per il soccorso marittimo in quell'area, che ne ha, pertanto, legittimamente assunto il coordinamento".
Fonti di Avvenire hanno confermano che i migranti sarebbero stati poi trasbordati dalla petroliera ad alcuni gommoni, presumibilmente forniti da Roma nelle settimane scorse, e poi sbarcati a terra dove verranno rinchiusi in un centro di detenzione. La petroliera ha compiuto il salvataggio dei migranti in piena notte ma poi si è diretta, come evidenziano le mappe elettroniche che in tempo seguono la rotta delle navi e ne indicano la destinazione dichiarata dal comandante, verso il porto libivo di Marsa Brega, nella Cirenaica del generale Haftar, reduce da recenti incontri a Roma con il governo italiano.
Nelle ultime ventiquattrore la Guardia costiera italiana ha soccorso più di 1.200 persone nel Mediterraneo centrale. Ma negli ultimi giorni è stato notato la sostanziale inazione della Guardia costiera libica che, secondo dati dell’Organizzazione Onu per i migranti (Oim) a partire dal 14 maggio non ha effettuato alcuna intercettazione in mare nonostante siano riprese le partenze proprio dalle coste libiche. Fonti da Tripoli confermano ad Avvenire che le varie guardie costiere affiliate alle autorità centrali libiche in questo momento “sono impegnate a preparare una esercitazione congiunta con la Marina militare di Malta”.
I dati, però, raccontano un'altra storia. Li ha messi infila Matteo Villa, ricercatore dell'Ispi, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, basandosi sulle statistiche ufficiali delle agenzie Onu. Dal 2019 d oggi, alll'aumentare dei finanziamenti e dell'equipaggiamento fornito da Italia e Ue alle cosiddette guardie costiere libiche è invece dimiunita la percentuale di intercettazioni in mare da parte della Lcg (Libya coast guard). In altre parole, a Tripoli si incassa sempre di più e si agisce sempre di meno. Se nel 2019 la percentuale delle catture in mare era del 68% sul totale delle persone salpate, nel 2023 siamo a circa il 20% delle partenze dalle coste libiche.
Tradotto dai numeri, vuol dire che la Sar, l'area di ricerca e soccorso libica (costituita con fondi italiani a partire dal 2017) in realtà è un grande buco nel Mediterraneo. Nelle ultime settimane è infatti cresciuto il numero di barconi e pescherecci carichi di migranti che hanno preso il largo dalla Cirenaica, la regione su cui Tripoli non ha alcun controllo. Ma una colta in mare i barconi potrebbero essere avvistati e intercettati da una delle tre milizie marittime di Tripoli, che invece non si spingono nel tratto di mare antistante Bengasi certificando nei fatti come circa metà della "Sar" libica sia priva di qualsiasi sorveglianza. Secondo le agenzie umanitarie Onu nel 2013 sono già 1.093 i migranti morti e dispersi nel Mediterraneo. Ma non esiste alcuna contabilità sui morti e i dispersi a terra, quando i profughi vengono catturati in mare e riportati nei campi di detenzione.
Nei giorni scorsi la Corte penale internazionale ha fatto sapere di avere convalidato 4 mandati di cattura e di averne richiesti altri due per esponenti