È già il momento della resa dei conti tra Renzi e il Pd. E il Cdm di oggi, il «grande mercoledì» del taglio secco alle tasse che ammazzano le buste paga dei lavoratori, diventa la sfida al suo partito, «al partito delle alchimie interne che pensa a farmi fuori mentre il Paese è disperato». «Faremo la più impressionante operazione politica mai vista a sinistra per ridare potere d’acquisto a chi non ce la fa. La sinistra è dove si combatte la povertà», attacca il premier al termine di una giornata durissima, come a voler mettere una distanza siderale tra lo stato di sofferenza del Paese e le guerre intestine del 'suo' partito. «Ci giochiamo tutto», dice fissando negli occhi il fidatissimo sottosegretario Graziano Delrio nell’ennesima riunione svolta tra tramezzini e simulazioni di tagli a Irpef e detrazioni. «Ma se passiamo il guado, loro saranno dimenticati dalla storia. Dovranno dire al Paese che non vogliono le riforme, che vogliono far cadere il primo governo che si schiera dalla parte dei più deboli, che sfida Confindustria e Cgil». Loro sono tutti quelli che sull’onda delle quote rosa hanno provato a ribaltarlo, dai big come Rosy Bindi (e per pudore ieri Renzi non citava Pier Luigi Bersani) ai lettiani che - così gli dicono i consiglieri che fanno la spola tra Palazzo Chigi e le Camere stanno preparando «trappole» al Senato. Di fronte a 10 miliardi sul cuneo, è la scommessa del premier, perderanno la parola. Renzi, ieri, era davvero fuori dalla grazia di Dio. Ma, com’è nel personaggio, l’affronto dei suoi gruppi parlamentari lo spinge ad alzare il tiro. Se era rimasto qualche dubbio sulla reale possibilità di tagliare le detrazioni sui redditi bassi, se c’erano ancora ombre sulle coperture, bene ora il premier non ha più voglia di mediare. «Il lavoro procede bene, alle 17 la conferenza stampa con i provvedimenti: #lasvoltabuona», scrive su Twitter. Un gioco di parole, 'la svolta buona' del suo esecutivo contro «i giochini del Pd». Il punto è che ora, in uno scenario da guerra fredda con i democrat, non è più ammissibile che oggi ci sia solo un 'via libera' di massima su un piano di riduzione delle tasse, come pure filtra a tarda ora da fonti del Tesoro. Bisogna mettere sul tavolo le misure, non generiche linee-guida. «Le coperture ci sono, sono il doppio di quelle che useremo», fanno filtrare da Palazzo Chigi in serata. Era inevitabile che prima o poi sarebbe scoppiata la contraddizione di un premier- segretario che ha gli elettori delle primarie dalla propria parte ma metà dei gruppi parlamentari contro. I primi cento giorni di governo serviranno a capire anche se è in grado di cambiarlo, questo Pd che ieri lo ha oltremodo irritato. Chiaro che lui, Renzi, non molla. Vuole che le «misure-choc» lo accreditino come leader di una sinistra che supera senza indugi il Pd dei collateralismi con la Cgil, attraverso un patto trasversale che va dai giovani rampanti dell’economia e della finanza alla Fiom di Giorgio Landini. Quando stamattina si troverà di fronte il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan di ritorno da Bruxelles, Renzi tornerà 'sindaco' e dirà che l’Irap può attendere. E che i soldi vanno trovati. E il titolare dell’Economia, nonostante legittime preoccupazioni sui conti pubblici, sembra volersi sintonizzare: «Dopo la grande crisi l’Europa guardi di più alla crescita», dice dopo due giorni in cui sembrava messo alle corde dalla retorica comunitaria e teutonica del rigore. Il momento è delicato. Alla finestra, a guardare le vicende del governo e del Pd, ci sono i tre 'grandi vecchi' della politica italiana: Napolitano, Berlusconi e Prodi. Ognuno per motivi diversi fa ora il tifo per 'Matteo'. Il presidente della Repubblica ieri ha avuto un colloquio con Palazzo Chigi, dove ha chiesto una sola cosa: non sforare il tetto del 3 per cento, restare ancorati ai patti europei, consapevole che lo sfaldamento delle riforme avrebbe effetti devastanti. E il premier lo ha rassicurato. Ma, inusualmente, non è salito al Colle per spiegare le misure. Motivo ufficiale: l’assenza di Padoan. Anche Berlusconi si è fatto sentire con Renzi per blindare l’Italicum, ma a margine l’ha buttata lì: «Se fai cose buone sul fisco ti aiutiamo, ma non potremo farlo se metti una qualsiasi forma di patrimoniale ». Sembra quasi un’offerta per replicare anche sulla politica economica l’asse delle riforme che ha costretto il Pd a digerire - per ora - la nuova legge elettorale. Prodi non chiama Chigi, ma 'benedice' il premier a distanza: «Fa bene a puntare tutto sull’Irpef, il problema oggi è la caduta del potere d’acquisto. Quando feci il cuneo c’era un’altra congiuntura ». E in molti, in Transatlantico, vi hanno letto in controluce un patto per il Colle più alto quando Napolitano deciderà che è il momento di dire «stop».