lunedì 24 giugno 2024
Novanta minuti di colloquio. I due leader allineati su demografia e migranti, ma il leader magiaro conferma che non entrerà in Ecr e attacca sui "top jobs". La premier gli fa scudo sull'Ucraina
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il Presidente ucraino Viktor Orbán

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il Presidente ucraino Viktor Orbán - Ansa

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L’intesa sulla composizione della prossima Commissione continuerà a prendere forma durante l’ormai imminente Consiglio Europeo di giovedì e venerdì, anche se non si esclude un nuovo vertice straordinario dopo il voto francese. Salvo sorprese, le trattative sull’asse Roma-Bruxelles paiono indirizzate verso la richiesta di una vicepresidenza e di un commissario «di peso», col nome di Raffaele Fitto in pole position. Ma, prima delle ultime mosse sulla scacchiera di Bruxelles, la premier Giorgia Meloni riceve a Roma l’omologo ungherese Viktor Orbán, che sta facendo un tour nelle principali cancellerie europee per presentare le priorità del semestre ungherese di guida dell’Unione (che inizierà a luglio). A Palazzo Chigi, i due capi di governo si confrontano per un’ora e mezza, prima di concedere alcune dichiarazioni. «L'Italia è uno dei nostri alleati più importanti nel raggiungimento dei nostri obiettivi nel campo della migrazione e della competitività», assicura il premier ungherese, ringraziando il «primo ministro Giorgia» per la sua «ospitalità».

In risposta, Meloni dice di condividere «le priorità» individuate dalla presidenza ungherese, «a partire dalla decisione di inserire la sfida demografica» e le politiche per contrastare la denatalità, una pre-condizione per una «Europa forte». Sono molti, snocciola la premier, i temi su cui Roma è d’accordo con Budapest: «Condividiamo il focus sulla competitività europea» della presidenza ungherese, «ma anche la difesa europea» e «il nuovo approccio per le politiche agricole». E c’è sintonia sul «governo dei flussi migratori», rispetto al quale - argomenta Meloni - «va consolidato il nuovo approccio europeo» nato anche su spinta dell’Italia (col protocollo Italia-Albania) sulla «difesa dei confini esterni e sulla lotta ai trafficanti». Qualche divergenza c’è invece sul conflitto ucraino: «Con Viktor, ribadiamo il sostegno all’indipendenza e sovranità ucraina. Le nostre posizioni non sono sempre coincidenti - fa notare la premier -, ma apprezzo la posizione ungherese in Ue e Nato, che consente agli alleati di assumere decisioni importanti, anche quando non è d’accordo».

Dal canto suo, Orbán entra senza giri di parole sulle grandi manovre per amalgamare una nuova euromaggioranza. Il mancato ingresso in Ecr, gruppo politico presieduto proprio da Meloni, non pare averlo turbato: «Lunedì a Bruxelles abbiamo chiarito che non possiamo fare parte di una famiglia politica dove c'è un partito rumeno che è anti-ungherese - spiega -. Ma ci impegniamo a rafforzare i partiti di destra europei, anche se non siamo nello stesso gruppo». Un appoggio che tuttavia non dovrebbe riguardare il tentativo del Ppe di addensare consensi sul bis di Ursula von der Leyen e Roberta Metsola: «Il progetto originario dell’Ue era di coinvolgere tutti, grandi e piccoli - sostiene Orbán - quello attuale è un sentiero da non seguire. Non possiamo appoggiare questo patto partitico sui top jobs».

Alle 20, il punto stampa si chiude con la rituale stretta di mano e coi sorrisi a favore di telecamere. Orbán saluta e prosegue nel suo tour (dopo Germania e Italia, si recherà in Francia), mentre Meloni si ritira nel suo ufficio di Palazzo Chigi a ragionare sui possibili sviluppi della trattativa europea. La richiesta dell’Italia, ribadita in Lussemburgo dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, è chiara: «Credo che l’Italia non possa non avere un vicepresidente della Commissione europea e un commissario con un portafoglio di peso, il minimo che si possa pretendere», ribadisce il leader di Fi ed esponente del Ppe. A suo parere, «Raffaele Fitto sarebbe un eccellente commissario», però «non c’è ancora nessuna decisione e sarà la presidente del Consiglio ad avere l’ultima parola, dopo aver ascoltato la maggioranza». C’è chi dice che in seno a Fdi ci sia qualche titubanza, rispetto all’ipotesi di “spedire” Fitto a Bruxelles, sia per il lavoro fatto sulle rate del Pnrr che per il rischio di innescare di riflesso (dovendo rimpiazzare un ministro) un mini-rimpasto dell’esecutivo.

Valutazioni che Meloni dovrà fare nelle prossime ore, prima che inizi il Consiglio Europeo, in modo da presentarsi di fronte ai Ventisette con una strategia precisa e accettata dal centrodestra. Sul piatto delle trattative col Ppe, lei potrà mettere i 24 voti di Fdi, ma soprattutto il peso politico del suo governo, puntellato dai risultati delle Europee, a differenza di quello francese e di quello tedesco. Ma a Bruxelles, come si sa, sulle decisioni finali pesano sempre ultimatum e veti incrociati . E Meloni e Tajani dovranno far sfoggio di tutta la loro diplomazia, per portare a casa il risultato che si stanno prefiggendo.


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