Sergio Mattarella parla ai giovani del carcere minorile di Nisida - Ansa / Ufficio stampa Quirinale
La bellezza al servizio del riscatto sociale di ragazzi e ragazze che hanno sbagliato, ma hanno avuto una nuova possibilità. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato questa mattina a Pozzuoli, dopo aver visitato il carcere minorile di Nisida. Qui, accompagnato dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia, ha anche visitato i laboratori e poi risposto alle domande dei ragazzi detenuti, sull’esperienza del carcere. «Quel che è importante - ed è il dovere dello Stato, e sono qui per riaffermarlo - che questo non si tramuti in alcun caso in una sorta di macchia indelebile, perché non è così, è una cicatrice che scompare, perché lo Stato ha il dovere di agevolare il reinserimento, il protagonismo nella vita sociale».
Il carcere che valorizza le risorse migliori del territorio come occasione di riscatto sociale. Il Capo dello Stato, accolto dal vescovo di Pozzuoli Gennaro Pascarella, ha poi incontrato gli operatori della "Fondazione Regina Pacis", motore dell’iniziativa, nella Cattedrale di san Procolo martire, al Rione Terra. Area soggetta al fenomeno del bradisismo, ma piena di risorse paesaggistiche e archeologiche, retaggio di una storia millenaria che potrebbe essere meglio valorizzata.
Il momento più toccante a Nisida, quando il presidente ha fatto delle riflessioni accorate, anche di carattere personale: «Quasi tutti abbiamo delle cicatrici; io ne ho una qui. Avevo tre anni, sono caduto dalle scale. Ricordo ancora il dolore dell’intervento che mi hanno fatto per mettere dei punti e a distanza di tanti decenni non ci faccio più caso e nessuno ci fa caso, anche perché col tempo la cicatrice va scomparendo. Ecco, questo è la detenzione: una cicatrice che nel corso del tempo scompare non va considerata più perché non è la caratteristica della persona». Per questo, ha continuato, «è importante, al di là della permanenza nel casellario giudiziario della traccia della detenzione, che questo non sia in alcun caso motivo di emarginazione, di accantonamento, di preclusione. Vi sono tante persone che hanno avuto esperienze di detenzione e sono pienamente inserite con successo anche nella vita; non è soltanto nei film che questo avviene», ha detto rispondendo alla domanda più spinosa, delle tre formulategli dai ragazzi: «Come mai i detenuti devono essere etichettati a vita anche se hanno dato prova concreta di adesione al programma di riabilitazione prevista dall’articolo 27 della Costituzione?». La detenzione, per Mattarella non può ma diventare «una sorta di marchio che rimane, preclude o fa emarginare».
Un concetto su cui si è soffermata anche Cartabia: «Non sempre è facile da un istituto di pena, credere in un oltre». Ma qui si deve e si può». Perché c’è «un dovere imperativo delle istituzioni penitenziarie sia infondere e diffondere speranza a tutte le persone detenute. Specie nei più giovani. La speranza di ciascuno di voi è speranza per l’intera società», ha detto la Guardasigilli.
Poi nel Duomo di Pozzuoli, accompagnati anche dal presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, Mattarella e Cartabia hanno salutato l’arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia, il direttore dell’istituto minorile Gianluca Guida, il docente Luigi Salvati, e ascoltato le testimonianze di un educatore, Danilo Venditto, e di due giovani che ce l’hanno fatta, Luigi, ora chef e studente dell’ Istituto alberghiero, e Dragana. Poi Mattarella ha visitato il Museo di Arte Sacra, che sorge dov’era la colonia romana di Puteoli, soffermandosi davanti al quadro di Artemisia Gentileschi, "reduce" dall’esposizione a una mostra del British Museum.
QUI DI SEGUITO LA TRASCRIZIONE DEL DIALOGO TRA MATTARELLA E I GIOVANI DETENUTI
Buongiorno Signor Presidente, come mai i detenuti devono essere etichettati a vita anche se hanno dato prova concreta di adesione al programma di riabilitazione prevista dall'articolo 27 della Costituzione?
Presidente: Questa è una bella domanda, ed è particolarmente impegnativa.
Parto da una cosa che avete sentito certamente altre volte: in qualunque comunità inclusiva vi sono delle regole. Anche nel gioco del calcio, se un calciatore sgambetta un avversario a metà campo c'è una punizione, se lo fa vicino alla porta c'è un rigore.
Ogni comunità in cui si vive insieme ha delle regole. Nel nostro Paese, come in tutti gli Stati queste regole sono le leggi.
Le leggi un tempo erano decise dal sovrano, dal re o dai nobili nel loro territorio. Adesso decide il Parlamento eletto dai cittadini e quindi sono regole scelte dalla maggioranza dei cittadini.
La violazione di queste regole crea una rottura nel patto sociale di osservare le regole per vivere insieme, e la collettività reagisce in maniera graduata a seconda del tipo di violazione, della gravità della violazione.
È vero che la detenzione rimane come traccia nel casellario giudiziario, non nei documenti, nel casellario. Però questo non va sopravvalutato e non può diventare in alcun caso una sorta di marchio che rimane, preclude o fa emarginare.
Faccio un esempio un po' banale. Quella frattura, quella violazione di regole, è un po' come quando ci si ferisce: l'organismo reagisce per chiudere una ferita.
Quasi tutti abbiamo delle cicatrici; io ne ho una qui. Avevo tre anni, sono caduto dalle scale. Ricordo ancora il dolore dell'intervento che mi hanno fatto per mettere dei punti e a distanza di tanti decenni non ci faccio più caso e nessuno ci fa caso, anche perché col tempo la cicatrice va scomparendo.
Ecco, questo è la detenzione: una cicatrice che nel corso del tempo scompare non va considerata più perché non è la caratteristica della persona.
Per questo è importante, al di là della permanenza nel casellario giudiziario della traccia della detenzione, che questo non sia in alcun caso motivo di emarginazione, di accantonamento, di preclusione.
Vi sono tante persone che hanno avuto esperienze di detenzione e sono pienamente inserite con successo anche nella vita; non è soltanto nei film che questo avviene, avviene nella realtà anche nel nostro Paese.
Quello che è importante - ed è il dovere dello Stato, e sono qui per riaffermarlo - che questo non si tramuti in alcun caso in una sorta di macchia indelebile, perché non è così, è una cicatrice che scompare, perché lo Stato ha il dovere di agevolare il reinserimento, il protagonismo nella vita sociale. Ciascuno di noi, ciascuno di voi, ha un'esperienza umana non ripetibile che può contribuire in maniera preziosa, importante nella vita di tutti.
Questa prospettiva va garantita, e va garantita però non a parole, va garantita nei comportamenti dell'ordinamento con i suoi interventi, le sue regole, le sue procedure, le sue iniziative, e con il comportamento sociale delle altre persone, con la fiducia - poc'anzi la Ministra parlava di speranza - ripeto anch'io con la speranza e la fiducia che occorre avere e sviluppare in maniera particolarmente forte.
Questo mi sento di rispondere a questa domanda così interessante, partendo – ripeto - dal valore di ciascuna persona. Grazie per avermela fatta.
Quel che ho detto non può limitarsi naturalmente alle parole del Presidente della Repubblica, deve essere tradotto in concreta realtà, in comportamenti reali nella vita sociale.
Poc'anzi ho visto, insieme alla Ministra, alcuni laboratori in cui siete impegnati. Sono rimasto ammirato dalla qualità dei risultati che consente una proiezione di ottimismo, di fiducia per il protagonismo sociale nel futuro.
Io mi permetto di incoraggiarvi a sviluppare molto questo, per garantirvi un futuro che sia costruttivo e protagonista nella vita sociale.
Ho visto alcuni disegni, sulle mura, di gabbiani che volano liberi sopra il mare; sono tutte immagini che ho ritrovato anche in qualche disegno di ceramica, che sono il vostro futuro in cui spiegare le vostre capacità di protagonismo sociale dell'avvenire.
Vi faccio per questo molti auguri ragazzi, molti davvero, ripetendovi l'apprezzamento per quello che ho visto nell'impegno che spiegate nei laboratori.
Auguri ragazzi, davvero con molta intensità e con grande fiducia nei vostri confronti.