Un agente penitenziario in un carcere minorile - .
Materassi a terra, refettori che senza soluzione di continuità distribuiscono pasti e lezioni di matematica e una turca come piatto doccia. Se è vero che gli spazi rivelano cosa intende fare di un luogo chi li ha progettati, l’Istituto penale minorile (ipm) di Treviso avrebbe da raccontare una storia grave. Già, perché quello che secondo tutti i report è l’Ipm più sovraffollato d’Italia, con un tasso di densità del 183%, è un carcere nato sotto una cattiva stella.
Aperto nel 1981 in un braccio della casa circondariale un tempo riservato ai detenuti politici per il reato di terrorismo, è stato riassegnato ai minorenni senza una vera riprogettazione architettonica. L’Ipm è poco più che un corridoio, su cui si affacciano sette celle, ciascuna dotata delle brandine regolamentari ma anche di almeno un paio di materassi in più messi a terra a giaciglio dei detenuti soprannumerari. Una di queste è adibita a scuola con un’armadiatura e banchi di fortuna su cui i ragazzi fanno i turni per i corsi. I bagni, uno per cella, sono però talmente angusti che una grata mobile calata sulla turca e un tubo d’acqua a mo’ di doccione trasformano lo spazio in una doccia regolamentare. Nella “palestra”, che per gli adolescenti potrebbe essere una buona valvola di sfogo, gli attrezzi tra cui scegliere sono solo un biliardino o un ping-pong; e anche il campo da calcio di proprietà del carcere degli adulti, che di tanto in tanto lo prestava ai vicini dell’Ipm, è attualmente in ristrutturazione. Così gli spazi per giocare sono praticamente inesistenti, anche se c’è l’idea – ma i fondi ancora da raccogliere – di costruire un campetto da basket nel cortile. Una situazione emergenziale, si potrebbe dire, che però è diventata talmente ordinaria che chi di competenza, sollecitato dall’amministrazione dell’istituto e dagli operatori, non può che rispondere: «È così dappertutto».
«Quando sono arrivato – testimonia da dentro don Otello Bisetto, cappellano della struttura dal 2017 –, c’erano 24 detenuti su 12 posti. E, a parte il periodo del Covid, ho sempre visto l’Ipm saturo e sovraffollato. All’inizio ci finivano giovani adulti che erano scappati dalle comunità oppure non riuscivano a rispettare le misure alternative. In sette anni questa dinamica è scomparsa, si è abbassata l’età media, che ora è di 17 anni, e solo pochissimi (tre o quattro) hanno condanne definitive, gli altri sono in attesa di giudizio. Oggi i ristretti sono 22: un terzo italiani, un terzo stranieri nati in Italia e il resto minori non accompagnati; un gruppo, quest’ultimo, che sta aumentando».
Il cappellano dell’Ipm di Treviso, don Otello Bisetto - .
Secondo don Bisetto a complicare le cose non è stato tanto il decreto Caivano, approvato nell’autunno 2023, che inasprisce le sanzioni per piccoli reati, quanto il peggioramento della situazione delle comunità educative dove i ragazzi potrebbero essere collocati in alternativa agli ipm. «Fino a qualche anno fa la detenzione era l'estrema ratio – commenta il sacerdote –, adesso mi sembra sia diventata una misura come tutte le altre, soprattutto perché il territorio non offre opzioni diverse. Un documento di programmazione del dipartimento minorile del ministero della Giustizia, nel 2023, aveva già previsto un aumento delle detenzioni nel successivo triennio, passando da circa 380 minori detenuti nel 2022, a 580 nel 2026: già allora il sistema stava collassando. Oggi le comunità educative sono poche e quasi tutte in mano a organizzazioni di privato sociale che, non avendo spazio per tutti, scelgono chi accogliere prima tra i ragazzi meno problematici. E gli altri?».
Entro due anni l’Ipm di Treviso dovrebbe essere chiuso e i detenuti trasferiti a Rovigo dove sono in corso i lavori di ristrutturazione del vecchio carcere che ospiterà dai 30 ai 40 minori. In attesa del trasloco, che potrebbe però non essere risolutivo, il personale è stato integrato e oggi gli educatori, che erano due, sono diventati cinque. «A loro – dice don Bisetto – si aggiungono la psicologa, il medico, il personale amministrativo… La Polizia penitenziaria però è sotto organico e fa quello che riesce con turni lunghi e stressanti, i ragazzi si sentono soffocare e la situazione genera in tutti grande frustrazione». Condivide l’analisi anche Girolamo Monaco, direttore dell’Ipm di Treviso: «Il carcere – dice – e in particolare quello minorile, è il prodotto diretto della società, cioè il prodotto di una cultura e di un modo di vivere le relazioni tra le persone. Il carcere di oggi è diverso da quello di 10 anni fa perché sono cambiati i reati, il modo con cui questi vengono agiti. La violenza che domina la nostra cultura si riflette sul carcere. In questo senso l’unico antidoto è guardare le persone, essere presenti e offrire ad ognuno una possibilità di riscatto: questo vale nelle relazioni sociali, nelle case, nelle scuole, nelle strade ma vale ancor di più in questo carcere minorile che dirigo, pienissimo di detenuti e privo di spazi».