Cinquanta anni, da quel 4 dicembre 1968, fatti «di ascolto sincero, di parole impastate, offerte e condivise come pane», e poi di «battaglie sociali e culturali in campo aperto, di braccia aperte e mani tese a ogni persona di buona volontà». È stato questo, Avvenire, nel suo primo mezzo secolo di vita.
E così lo ha descritto il direttore Marco Tarquinio nella quarta giornata della Festa di Avvenire a Matera. Perché dopo i temi geopolitici, sanitari, ambientali, la giornata è stata dedicata al futuro dell’informazione e al compleanno numero 50 del quotidiano dei cattolici italiani. Un giornale che, voluto da Paolo VI per «accompagnare la lettura dei "segni dei tempi"» e dare ragione della «speranza cristiana», può affrontare le nuove sfide se resta ancorato ad «un’informazione ben fatta – ha osservato Tarquinio –, accurata e libera nei confronti del "pensiero dominante"» che «aiuta a vedere il bene e il male, il brutto e il bello, il giusto e l’ingiusto, il falso e il vero». Con una sola preferenza: «Stare accanto agli ultimi, ai piccoli, ai deboli, agli "imperfetti", ai poveri…», ha detto il direttore, coscienti che la consapevolezza di storie, volti, vicende umane, altrimenti nascoste, «cambia il mondo».
Un tratto che fa di Avvenire un «mezzo necessario nel panorama dell’informazione italiana – ha voluto evidenziare il direttore del Tg1, Andrea Montanari –. Nell’insostenibile leggerezza delle chiacchiere, Avvenire rappresenta, con il suo stile originale, una voce centrale del Paese». L’informazione vera, ha affermato Montanari, «deve fare i conti con l’idea perniciosa della disintermediazione, che considera cioè i corpi intermedi – la stampa in primis – come facenti parte di una casta inutile e superata». Però «senza i professionisti dell’informazione resta il magma indistinto delle chiacchiere gridate, sui social prima che altrove. E il rischio è che queste chiacchiere vengano declinate come fatti».
Ci sono tuttavia motivi per essere ottimisti. Carta stampata, tv e radio, ha dichiarato Montanari, «sono destinate a vivere a lungo a patto di offrire una "merce", oggi più di ieri, di alta qualità se no la "concorrenza" li straccia». Ma non solo i giornalisti «dovranno migliorare ulteriormente in professionalità»; anche i lettori, ha ammonito il direttore del Tg1, devono possedere «gli strumenti critici che consentano di apprezzare l’informazione di qualità. Come? Occorre partire dalla scuola».
Sul futuro dell’informazione è intervenuto con un videomessaggio anche il direttore de La Stampa, Maurizio Molinari, per il quale «sono ben delineati due scenari: da un lato c’è la carta e dall’altro la realtà digitale». Il mercato della prima si sta ritraendo, questo è un dato incontrovertibile, come quello che «alcuni giornali si stanno rivelando più resilienti nella difesa di questo prodotto. Sono i giornali che esprimono grande qualità e una forte identità».
Da questo punto di vista, ha insistito Molinari, «le esperienze di testate come Avvenire e La Stampa sono esemplari». L’altro scenario è quello del mondo digitale: se, ha riferito Molinari, fino al 2015-2016 «prevaleva l’idea dell’informazione gratuita, ora siamo nella stagione in cui un crescente numero di utenti si avvicina ai siti che considera più credibili ed è disposto a pagare piuttosto che essere in balia del dilagare delle fake news». È quanto avviene negli Usa e in un nutrito numero di Paesi nordeuropei. Un trend che, per il direttore de La Stampa, «crescerà presto anche in Italia con ripercussioni positive. Non solo per le società editoriali».