Dopo il varo tra le polemiche in commissione Affari sociali del testo su fine vita e dichiarazioni anticipate di trattamento, il testo attende il parere delle Commissioni. L’ingresso in aula è il 27 febbraio. Giorni forse utili per una ricomposizione, finalizzata a migliorare un articolato inviso a otto deputati di centro e di destra. Che hanno presentato un ricorso alla presidenza della Camera: sarebbe stato impedito il dibattito e fatti decadere 93 emendamenti su 102 presentati, per un maxi emendamento del Pd. Soddisfatto Ettore Rosato, capogruppo Dem: «Un nuovo traguardo, è una legislatura straordinaria per il lavoro sui diritti». Critiche invece dall’associazionismo. Per Filippo Maria Boscia, presidente dei Medici cattolici, «l’autonomia decisionale del paziente deve incontrare la competenza professionale, e non scontrarsi, con l’autonomia e la responsabilità del medico. Così l’articolo 3 è inaccettabile». Massimo Gandolfini, presidente del Comitato Family day, esprime «profonda delusione» e «amarezza perché si inaugura nella sanità una legislazione contraria alla difesa della vita: una sorta di legittimazione del suicidio assistito, incrinando la virtuosa alleanza tra medico e paziente».
«Ci sono i margini, tra dibattito in aula e emendamenti, che possono permettere miglioramenti del testo. Io stesso presenterò proposte di modifica. Certo però che un clima di contrapposizione assoluta potrebbe non aiutare, visti i numeri delle forze in campo. Si rischia di perdere quello che finora è stato ottenuto». Mario Marazziti, presidente della commissione Affari sociali della Camera ed esponente di Democrazia Solidale - Centro Democratico, concorda sulla necessità di migliorare il disegno di legge sulle «Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate», appena licenziato in Commissione: «Questa non è una legge sull’eutanasia, né deve diventarlo». Ma crede che ulteriori limature saranno possibili solo se si evita un braccio di ferro rischioso.
Il voto conclusivo in commissione è stato segnato dall’abbandono polemico di otto deputati in dissenso sul testo. Era inevitabile?
È stata una rottura purtroppo prevedibile. Siamo partiti da un testo base, carente in più punti e secondo me non condivisibile. I nuovi articoli 1 e 2 hanno ovviato a molti problemi: si parla di legge per la vita, ci sono richiami alla Costituzione e alla Carta europea, e si trova con il comma 7 un forte equilibrio tra libertà di scelta e impossibilità di chiedere cose contrarie alla legge. Si riequilibra il rapporto medico paziente. Restano problemi consistenti: dobbiamo far sì che in nessun modo questa legge sia utilizzabile, anche indirettamente, per una eutanasia passiva. Detto ciò non condivido l’abbandono della Commissione: c’è stato tutto il tempo, dalla fine di gennaio, per discutere: abbiamo fatto circa 40 votazioni, 8 sedute, in 22 ore, su un testo di 5 articoli. E va detto che la gran parte del dibattito è stato usato da chi era contro questo testo. È che qualcuno puntava a un’ostruzionismo complessivo, ma - come ho spiegato tante volte - questo era impossibile, perché c’era fissata la data certa a fine gennaio. E sono riuscito ad arrivare fin qui.
Quali sono ora i tempi dell’iter?
Aspettiamo il parere delle commissioni Bilancio e Giustizia. La data per l’aula è il 27 febbraio. Il testo è stato realmente emendato agli articoli 1 e 2, risolvendo gran parte dei problemi. Il 4 sintetizza una mia proposta per ricostruire il rapporto tra medico e paziente: la pianificazione condivisa delle cure in una malattia degenerativa o a esito infausto, una novità europea
Resta il nodo sulla "vincolatività". Se cioé le dichiarazioni anticipate debbano essere sempre vincolanti o no.
È un punto che va chiarito in aula. Valida e innovativa, secondo me, è la figura del fiduciario, che può anche disattendere le disposizioni anticipate, perché magari conosce ancora più in profondità il desiderio di vita del malato. Da chiarire anche che, se c’è una possibilità significativa di vita, come in un coma, questa non può essere esclusa a causa di una volontà espressa precedentemente. Mi spiego: non si può ad esempio impedire a prescindere una intubazione, se prevedibilmente è temporanea. Ma riconosco che ci sono passaggi su cui non sarà semplice trovare un punto di incontro.
Come quello sull’inclusione o meno della nutrizione e dell’idratazione tra le cure, che diventerebbero quindi rifiutabili? L’articolo 3 resta un nodo da sciogliere. Mi auguro che si trovi una soluzione più accettata da tutti e meno ideologica. Un punto di equilibrio a mio parere può essere quello contenuto nella Nuova Carta degli operatori sanitari, pubblicata pochi giorni fa dal Pontificio Consiglio per la pastorale della salute: si dice che «la somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente». Se si risolve questo, cade il problema dell’obiezione di coscienza. Se no occorrerà introdurla.
Resta il nodo terminologico: il titolo parla di «dichiarazioni», l’articolo 3 invece di «disposizioni»...
...un termine percepito come troppo forte. Bisognerà uniformare: io penso sia più corretto parlare di dichiarazioni, che è una dizione meno vincolante. Possiamo farlo.