La Guardia di Finanza si presenta al Senato per acquisire allo sportello bancario interno le movimentazioni sui conti dell’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi - accusato di aver sottratto 13 milioni - e induce il presidente del Senato a un secco rifiuto in difesa delle guarentigie parlamentari. «Nessuna richiesta di accesso a conti della Filiale della Bnl di Palazzo Madama ci è stata avanzata », chiarisce un comunicato della presidenza del Sdnato, che si vede costretta a intervenire prima che si scateni l’ennesima polemica sulla casta. In questo caso, infatti, fa notare uno Schifani descritto come molto turbato dall’episodio, gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno agito «senza esibire un provvedimento del quale fosse destinatario il Senato della Repubblica» e dunque non si può neanche parlare di diniego. E a conferma che qualcosa ieri mattina davvero non ha funzionato nella cooperazione fra istituzioni, la conferma si può ricavare da una telefonata di scuse che è arrivata al presidente del Senato dal procuratore della Repubblica Giancarlo Capaldo in persona, reggente dopo la nomina a sottosegretario del titolare Gennaro Ferrara.Un vero e proprio incidente insomma, arrivato sul tavolo di Schifani proprio mentre si accingeva a presiedere la conferenza dei capigruppo, i quali vengono quindi subito resi partecipi dell’accaduto. Cioè della richiesta anomala che era appena arrivata (erano da poco passate le 11) allo sportello della Bnl, sito al piano terra di Palazzo Madama, presso il quale molti senatori - e anche Lusi - detengono il loro conto. Il presidente del Senato decideva quindi di investire del caso, immediatamente, con una sua lettera, la Giunta per le immunità. Un caso che si tinge un po’ anche di grottesco perché lo stesso Lusi è (anzi era, fino a ieri) componente dell’organismo, che era già convocato per altre ragioni, legate ancora al caso del pd Alberto Tedesco: un dossier infine rinviato ad oggi. Perché su iniziativa del presidente Marco Follini veniva richiesto, "fuori sacco", di occuparsi del caso del giorno. Ma nessuna istanza formale era arrivata all’esame della Giunta stessa, così come non era arrivata a Schifani: «Non possiamo pronunciarsi su un caso astratto, ma possiamo rispondere sul merito della documentazione presentata», spiega Follini.Una gaffe istituzionale che traspare anche dal comunicato che, in serata, viene emesso dal procuratore Capaldo. Per chiarire che la Procura di Roma «non ha disposto l’esecuzione dell’atto all’interno del Senato e, pertanto, non ha formulato alcuna richiesta di esecuzione del provvedimento al presidente del Senato». E per confermare la «massima importanza» assegnata alla «leale collaborazione istituzionale». La procura quindi sembra attribuire l’episodio a un comportamento non adeguato da parte della Finanza che, nelle sue funzioni di polizia giudiziaria, si sarebbe rivolta inizialmente alla direzione centrale della Bnl e una volta ottenuta l’informazione che il conto era appoggiato alla filiale del Senato avrebbe omesso di dotarsi delle dovute autorizzazioni, trattandosi di locali del Parlamento e di un membro del Parlamento stesso. E proprio mentre la giunta per le immunità licenziava la questione legata al caso Lusi, l’ex tesoriere della Margherita faceva arrivare la sua lettera di dimissioni dall’organo di garanzia di Palazzo Madama di cui, fino a ieri pomeriggio, era componente.«Ciò non toglie - chiarisce Follini - che quando la richiesta arriverà alla nostra attenzione e superando questioni di forma si entrerà nella sostanza, si dovrà agire con la massima trasparenza. E, per quanto mi riguarda, non potrà essere negata l’autorizzazione. Perché il vero tema è la democrazia interna ai partiti», conclude Follini. Il quale rilancia la sua proposta: «Occorre una certificazione dei bilanci dei partiti da parte della Corte dei Conti. Per un periodo, prima del varo di una legge ad hoc, quella che potrebbe sembrare una limitazione alla loro autonomia sarà invece un modo per salvagaurdarne la credibilità». Angelo Picariello
L'EX TESORIERE: NE ESCO A PEZZI, MA HO FATTO UN PEGNO CON I PMSe la prende con il Pd. «Avrebbero dovuto perlomeno chiamarmi, ascoltarmi». Dice di non aver ammesso nulla e di voler «aspettare che emerga la verità». Luigi Lusi - il senatore del Partito democratico fresco di espulsione per l’accusa di appropriazione indebita dei denari del partito di cui era tesoriere, i Dl-La Margherita - si sfoga nel giorno in cui la ribalta viene presa dalla Guardi di Finanza, che bussa alla porta del Senato per acquisire la documentazione bancaria relativa ai conti dell’ormai non più esistente partito.«Non ne so nulla», dice. E ripete di essersi assunto le sue responsabilità, «come deve fare un tesoriere», ora - fa intendere - tocca ad altri. La giornata di Lusi ieri è iniziata con la presentazione al presidente del Senato, Renato Schifani, delle dimissioni irrevocabili da componente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di Palazzo Madama. Poi, tramite il suo avvocato presenta ai legali della Margherita un’offerta di compensazione per l’ammanco di 13 milioni di euro che avrebbe causato: dare in pegno le quote della società Ttt, proprietaria dell’appartamento di via Monserrato, a Roma, e della villa di Genzano, dove abita. Lo ha riferito lo stesso avvocato del parlamentare, Luca Petrucci, che si è incontrato con il procuratore aggiunto di Roma Alberto Caperna alla presenza del legale dei Dl, Titta Madia. Gli stessi avvocati hanno confermato che ora tocca agli esperti valutare l’esatta consistenza del patrimonio messo a disposizione da Lusi, che secondo una prima stima varrebbe circa 5 milioni.Intanto lui dice di aver fatto un «patto con i magistrati per non dire nulla. So di uscirne a pezzi e che i tempi mediatici mi ammazzano, ma io voglio rispettare questo patto». Però parla e sostiene di provare «un grande fastidio per il fatto che mi vengano attribuite delle frasi e delle cose che non ho mai detto o mai fatto. Io non ho ammesso nulla, non ho detto nulla. Voglio aspettare che emerga la verità».Ad attendere gli sviluppi della vicenda c’è anche l’ex numero uno della Margherita, e oggi leader dell’Api, Francesco Rutelli. Che ieri, interpellato sull’espulsione di Lusi dal partito in cui fino a poco tempo fa entrambi militavano, se l’è cavata con un «chiedetelo al Pd». Lusi invece si lamenta che sia stato proprio il Pd a non chiedere niente a lui prima di dichiararlo «incompatibile con il partito: avrebbero fatto una figura migliore». È stato «un colpo al cuore, non possono girare anche il coltello nella piaga», conclude l’ex tesoriere della Margherita, che annuncia ricorso al tribunale civile.Tra i commenti, è arrivato quello del segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, per il quale la vicenda rappresenta «un danno d’immagine per tutta la politica. Tanto più in un momento come questo». Gianni Santamaria