Il premier era già fuori dal palazzo del governo di Algeri, pronto ad entrare in macchina. Telecamere quasi spente, gran parte dei cronisti già verso l’aereoporto. Un solo 'coraggioso' si avvicina sfida il divieto di porre domande su questioni italiane. «Presidente, ci sarà una clausola di salvaguardia sull’Italicum?». La risposta di Renzi, a sorpresa, apre una partita nuova: «Non esiste la possibilità di legare la riforma elettorale a quella costituzionale: sarebbe un atto contro la Costituzione e un emendamento di questo tipo è già stato respinto (alla Camera,
ndr). Possiamo immaginare una clausola di salvaguardia che fa entrare la legge elettorale in vigore il primo gennaio 2016». La proposta balza nel cuore dei lavori della commissione Affari costituzionali, dove si spera di incassare un «sì» all’Italicum 2.0 prima di Natale. Lì, dove la maggioranza è letteralmente appesa a un voto, si stava discutendo di un fatto non irrilevante: esaminare domani, prima di ogni cosa, un ordine del giorno del leghista Roberto Calderoli che di fatto congela la nuova legge elettorale pensata per la Camera sino a che non sia approvato definitivamente il superamento del Senato scelto dai cittadini. Renzi si oppone all’ipotesi, che di fatto metterebbe sotto ricatto l’intero iter delle riforme, ma comprende il disagio dei gruppi parlamentari spaventati dal voto in primavera e butta sul tavolo l’idea di una
deadline temporale, appunto l’1 gennaio 2016. Al segnale del premier la minoranza Pd risponde in ordine sparso. D’istinto, il bersaniano Alfredo D’Attorre definisce l’idea «balzana». «Qui non si tratta di ammansire il Parlamento permettendoci di rimanere in carica un anno in più», affonda. Poco dopo però, un altro bersaniano, Miguel Gotor, si sbilancia sino a ritenere «accettabile» la proposta di Renzi di vincolarsi ad una data fissa. Un «giusto compromesso », spiega, tra i timori trasversali dei senatori e la necessità di dare una legge elettorale al Paese in tempi non biblici. Gotor però non commenta quel giorno, l’1 gennaio 2016, indicato da Renzi. Segno che sul tema si può aprire una trattativa, magari per spostare il termine al 30 giugno 2016. L’importante - è il messaggio del premier che parte della minoranza Pd ha compreso - è non votare l’ordine del giorno di Calderoli, che di fatto renderebbe il percorso della riforma del bicameralismo un gioco di veti e controveti, condannando il Paese a votare con il Consultellum. Fissare un giorno invece ha un altro significato: provare davvero in quel lasso di tempo a cambiare il Senato ma consentire al sistema politico, in caso di fallimento, di andare alle urne con l’Italicum alla Camera e il Consultellum al Senato (a meno che non ci si metta d’accordo su un adattamento del nuovo sistema di voto anche per Palazzo Madama). L’anno o i 18 mesi di tempo che il premier concede sarebbero utili alle parti politiche per riorganizzarsi, dato il terrore collettivo del voto nella prossima primavera. Sul tema ora si apre il confronto nella minoranza Pd, ma anche in Forza Italia. Ieri si è parlato a lungo di una maxi-riunione dei senatori, e di un fronte fittiano pronto a frenare l’arrivo dell’Italicum all’esame in aula. Riunione però smentita in serata. Il fatto obiettivo è che il Renzi algerino ha aggiunto un altro elemento al Patto del Nazareno che Berlusconi dovrà ora vagliare.