sabato 24 ottobre 2020
Nel nodo marino di Hurd Bank, al largo di Malta, i carichi vengono spartiti tra varie motonavi. Nessuno ispeziona le imbarcazioni, che fanno capo a società anonime registrate nei paradisi fiscali
Un sequestro di cocaina avvenuto nella zona di Tobruk, in Libia

Un sequestro di cocaina avvenuto nella zona di Tobruk, in Libia - Scavo

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Il 30 maggio la polizia doganale brasiliana riceve una soffiata. Nel porto di Itajaí, mille chilometri a sud di Rio de Janeiro, vengono perquisiti due container carichi di mais. Per la terza volta nel 2020 gli agenti scovano cocaina: 128,4 chili. In totale 1,17 tonnellate sequestrate in cinque mesi, per un valore nelle piazze di spaccio europee di almeno 100 milioni di euro. Tutti i carichi erano destinati alla Libia.

Narcos sudamericani, milizie libiche, mafiosi maltesi in accordo con Cosa nostra siciliana, ‘ndrangheta calabrese e i boss dei Balcani. Dopo avere sperimentato con successo il contrabbando di idrocarburi, l’internazionale politico-mafiosa ha varato le nuove rotte del traffico di stupefacenti. Che passano per l’Africa e vengono instradate in Libia. A disposizione c’è un esercito di trasportatori, corrieri, flotte di navi fantasma che spariscono a poche miglia dalle coste europee. Con la consapevole complicità di un’insospetttabile catena di alleati in doppiopetto: autorità che chiudono un occhio e vecchie conoscenze delle cronache giudiziarie.

«Il traffico di droga ha ricevuto scarsa attenzione, anche se è stato accertato che la tratta di migranti, che è l’obiettivo principale del coinvolgimento europeo in Libia, fa parte di una più ampia economia sommersa che coinvolge vari tipi di attività criminali». Ad accusare i governi del Vecchio Continente di «scarsa attenzione» non è una una Ong, ma l’Emcdda, l’Osservatorio antidroga dell’Unione Europea. «E’ stato sviluppato un sistema complesso, che collega gli attori criminali libici e i leader delle milizie, coinvolti in diverse forme di contrabbando e tratta, con aziende e uomini d’affari con interessi nel commercio legale in Libia, Malta, Italia, Spagna, Grecia, Cipro, Albania, Montenegro, Turchia, Siria, Libano, Egitto e Emirati Arabi Uniti (Dubai)», si legge in un dettagliato report tenuto nei cassetti delle cancellerie di tutta Europa. In altre parole, mentre Roma, La Valletta e Bruxelles erano impegnate a negoziare con le milizie pur di ridurre le partenze di migranti verso il Canale di Sicilia, proprio i capimandamento libici hanno capitalizzato la paura e le divisioni nell’Ue per rafforzare le alleanze criminali intercontinentali.

Mentre i mercantili girano alla larga dal Golfo della Sirte per non finire invischiati in operazioni di soccorso, una flotta di motonavi attraversa indisturbata quel tratto di mare. «Sul fronte del traffico di droga – si legge nel dossier ultimato nel marzo 2020 – le milizie hanno permesso l’importazione, lo stoccaggio e la riesportazione di droga su larga scala».

All’inizio dell’anno nell’arco di alcuni giorni in Sicilia vennero ritrovati i cadaveri di tre sub, rimasti ancora senza nome, e una quantità di panetti di droga su varie spiagge: 600 pacchetti di hashish a Capo d’Orlando (37,9 chilogrammi), altri 30 chili sulla battigia di Marinella di Castelvetrano, la roccaforte del super latitante Matteo Messina Denaro, 30 chili a Marsala e altrettanti a San Leone, nell’Agrigentino. Sembrava la scena di un naufragio. Una consegna finita male le cui indagini promettono sorprese. «L’hashish – ribadisce il documento dell’Agenzia Ue – viene ora tipicamente caricato al largo di Casablanca, nell’Atlantico, o tra Nador in Marocco e Orano in Algeria nel Mediterraneo, e viene trasportato a bordo di pescherecci o navi commerciali in punti al largo della costa libica. Allo stesso modo, il trasferimento in Libia viene effettuato in mare o direttamente a terra nei porti per container». In particolare questa rotta «è utilizzata anche per la cocaina proveniente dalla Mauritania o direttamente dal Sud America».

Ma come fa lo stupefacente a raggiungere le piazze di spaccio di tutta Europa? E’ a questo punto che entra in scena la rete di trafficanti di petrolio, che coinvolge nella logistica esponenti dei clan siciliani, banditi maltesi e i pezzi grossi della ‘ndrangheta, l’unica organizzazione criminale al mondo in grado di far attraversare gli oceani ai container infarciti di coca. Nei mesi scorsi più volte Avvenire e ha ricostruito e documentato quale sia il network che traffica idrocarburi dalla Libia all’Europa, avendo nelle milizie di Zawyah, quella del comandante Bija arrestato una settimana fa, e nelle bande di Zuara i padroni del petrolio di frodo. Tra essi Fahmi Slim Ben Khalifa, che si ritiene abbia ideato l’organizzazione criminale presa di mira dalla direzione distrettuale antimafia di Catania nell’operazione internazionale “Dirty Oil”. L’indagine fece emergere il coinvolgimento del clan mafioso siciliano Santapaola-Ercolano nella filiera del “petrolio sporco”. Successivamente a quella inchiesta Ben Khalifa si è ritirato nella nativa Zuara, interrompendo le frequenti trasferte a Malta e in Sicilia. «Più o meno nello stesso periodo – annota il report dell’Emcdda –, le forze dell’ordine italiane ricevevano segnalazioni di rinnovate spedizioni di hashish dirette a Zuara, che si ritiene fossero destinate allo stoccaggio e alla eventuale riesportazione». Il 23 agosto 2017 Ben Khalifa è stato arrestato proprio a Zuara in seguito a regolamenti di conti interni alle fazioni libiche. Per lui, però, nessuna accusa riguardante il contrabbando, sebbene nel corso della perquisizione all’interno della sua residenza sia stato trovato un chilo di hashish.

Per eludere i controlli e far sparire i carichi dai radar è stato sviluppato un sofisticato sistema marittimo che beneficia di lacune normative e dei mancati controlli in mare. «È per questo motivo – spiega ancora il documento – che gli attori italiani e maltesi sono diventati centrali nel funzionamento complessivo sia del contrabbando di carburante che del traffico di droga».

Il luogo perfetto per il gioco di prestigio dei contrabbandieri si trova appena al di fuori delle acque territoriali di Malta. Una zona franca non dichiarata, creata dai trafficanti di ogni merce di contrabbando. Si chiama Hurd Bank, un’elevazione sottomarina che per le sue caratteristiche geologiche offre ai naviganti una zona poco profonda dove i vascelli possono gettare l’ancora con la scusa di tenersi al riparo dalle mareggiate. «Per questo motivo – spiega l’Emcdda – viene regolarmente utilizzata per il “rifornimento” delle navi commerciali o anche come scalo in caso di maltempo o per scontare periodi di fermo». In altre parole qui avviene lo scambio delle merci e la distribuzioni su più motonavi. Hurd Bank «viene utilizzata regolarmente – si legge ancora – per i trasferimenti da nave a nave di merci illecite». Se Malta non ha finora mostrato interesse a mandare le proprie motovedette a svolgere ispezioni, anche la flotta Ue viene tenuta alla larga. Il punto di forza del sistema «è che spesso il carico non ha proprietari identificabili, nascosti dietro pratiche burocratiche fasulle o società in giurisdizioni “offshore”. Allo stesso modo, gli agenti marittimi e gli armatori dichiarano di ignorare i carichi delle navi – svela il dossier dell’agenzia Ue –, il che spesso significa che le uniche persone a essere perseguite sono il capitano e l’equipaggio, mentre un certo numero di persone, fondamentali per l’operazione di contrabbando, possono continuare con la loro attività». Potendo sempre contare sulla «scarsa attenzione» di chi è troppo impegnato a dare la caccia ai profughi.

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