giovedì 3 maggio 2018
Uccise almeno 14 persone. Un’autobomba non è esplosa. A est Haftar attacca Derna A ovest impossibile raggiungere i profughi
Kamikaze fanno strage. E l'Onu denuncia altri lager
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Il sedicente Stato Islamico ha rivendicato la responsabilità del «duplice attentato suicida all’interno della sede dell’Alta Commissione elettorale» libica a Ghoat Shaal nella capitale Tripoli, provocando almeno 12 morti (16 secondo altre fonti) e circa venti feriti. È quanto si legge sull’agenzia di propaganda jihadista Amaq. La rivendicazione, in realtà, suscita perplessità. Nel testo Amaq mostra di non avere certezza sul numero di kamikaze adoperati dal Daesh in Libia.

La propaganda del Califfato parla di «almeno due attacchi». Le autorità libiche e testimoni sul posto riferiscono di «almeno tre mujaheddin suicidi», anche se il ministero dell’Interno ha fatto sapere che uno degli attentatori è stato bloccato prima che entrasse in azione. Tra le vittime si contano uomini della sicurezza che hanno fronteggiato i terroristi e personale della Commissione elettorale. Le forze di sicurezza hanno riferito anche di un’autobomba parcheggiata all’esterno ma che non è esplosa. Amaq non è nuova a rivendicare attacchi commessi anche da lupi solitari mai entrati in contatto con il Daesh. Tuttavia i toni trionfalistici confermano l’interesse del Califfato nero nelle operazioni di destabilizzazione della Libia.

Da Tripoli, intanto, arriva la conferma dell’esistenza dei lager per i migranti. Prigioni clandestine nelle mani degli scafisti che, dopo gli accordi con l’Italia e l’Europa, hanno rallentato le traversate ma non hanno rimesso in libertà la loro mercanzia di vite umane. Fonti delle Nazioni Unite hanno confermato di avere fornito assistenza negli ultimi giorni a 800 migranti intercettati in mare dalla Guardia costiera libica e rinchiusi poi in un centro governativo. «Tutte le persone – si legge in un report Onu – hanno bisogno di assistenza psicologica e sanitaria. Erano state trattenute per mesi in condizioni estreme». nessuno, però, sa dire quanti siano ancora i subsahariani rinchiusi nelle infernali 'case' sorvegliate dai passeur.

Dalle stesse Nazioni Unite ammettono che le organizzazioni internazionali e le stesse autorità libiche faticano a mettere piede nella zona di Zuara «per ragioni di sicurezza». La stabilizzazione, in altre parole, appartiene alla narrazione ufficiale, non alla realtà sul terreno. Dalla parte opposta, a Est di Tripoli, il redivivo generale Khalifa Haftar si è recato nella principale centrale operativa della base aerea di Al Abraq, a ridosso di Derna, la città assediata da circa un anno dall’esercito di Haftar, che controlla gran parte del Paese e si oppone al governo riconosciuto del premier Serraj. Haftar, dato prima per morto e poi per gravemente malato a Parigi, è riapparso per seguire le ultime fasi della preparazione di quello che si annuncia come un sanguinoso «attacco finale» per scacciare le milizie islamiste dalla città della Cirenaica, nell’est della Libia.

Dal 2015, quando furono sconfitte le forze che si richiamavano al Daesh, Derna è sotto il controllo dei miliziani jihadisti del Consiglio dei mujaheddin. L’ultima città dell’est fuori dal controllo dell’Esercito nazionale libico guidato da Haftar.

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