Un'immagine del centro detenzione migranti di Zawiya, a 30 km da Tripoli. (ANSA/ZUHAIR ABUSREWIL)
È morto dopo due ore di agonia, colpito allo stomaco dai proiettili della polizia libica. Era stato catturato come decine di altri in mare, a bordo di un gommone dei trafficanti. Una volta intercettato e riportato a terra dalla cosiddetta Guardia costiera, ha cercato di fuggire con decine di altri per non tornare nei campi di prigionia.
Sul posto c’erano alcuni operatori umanitari che hanno visto tutto. La polizia ha sparato ad altezza d’uomo, mirando verso il basso. «Una tragedia per certi versi inevitabile», dice Leonard Doyle, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Secondo le informazioni disponibili, l’episodio si è verificato subito dopo il respingimento di 103 migranti riportati nel terminale di Abusitta, all’interno dell’area portuale di Tripoli. Tutti dovevano essere trasferiti in centri di detenzione, ma i disordini sono cominciati con un loro tentativo di resistenza agli ordini degli uomini armati incaricati di gestire il trasferimento.
Secondo Oim l’omicidio conferma la «situazione terribile dei migranti fermati dalla Guardia costiera dopo aver pagato i trafficanti per portarli in Europa». L’Organizzazione ha calcolato che a oggi restano detenuti in Libia «in condizioni inumane» circa 5mila migranti.
Nei giorni scorsi Avvenire aveva anticipato i contenuti dell’ultimo dossier del segretario generale dell’Onu secondo cui la missione delle Nazioni Unite continua a ricevere «credibili informazioni sul coinvolgimento di autorità statali e locali nel contrabbando e traffico di migranti».
La reazione degli agenti che hanno sparato sui migranti conferma quali siano i modi con cui agiscono le autorità di Tripoli. E la Commissione Europea si è detta «profondamente rattristata e condanna con forza» l’uccisione di un cittadino sudanese, raggiunto da colpi di arma da fuoco nella zona di sbarco di Abusitta, a Tripoli, dopo essere stato riportato in Libia, insieme ad altri migranti, dalla Guardia Costiera, i cui uomini vengono addestrati dall’Ue. Lo dice Maja Kocijancic, portavoce del Seae, la diplomazia Ue. Da Bruxelles ammettono il sostanziale fallimento di tutte le politiche di sostegno a Tripoli riguardo ai diritti umani. Supporto che continua ad avvenire con finanziamenti, addestramento ed equipaggiamento. Eppure, «la situazione resta invariata: stiamo lavorando per la chiusura di questi centri di detenzione», spiega Kocijancic.
Dura la reazione di "Mediterranea Saving Humans", secondo cui «i miliziani che il governo italiano e l’Unione europea si ostinano a chiamare guardia costiera e a riempire di soldi per bloccare le persone che scappano da torture, violenze di ogni tipo e dalla guerra che insanguina la Libia, hanno aperto il fuoco contro persone disarmate». E ancora: «La stessa sedicente guardia costiera rende noto poi di avere catturato dal 15 al 18 settembre, 493 donne, uomini e bambini che tentavano di scappare dal mare. In quale lager li hanno portati? Quanti ne hanno già uccisi? Il governo italiano vuole continuare - ha concluso Mediterranea - ad essere complice di questo orrore?».
I centri di detenzione, tra cui Khoms, Suq al-Khamis and Zawiyah, sono diventati «paradisi del traffico e di possibili sparizioni forzate», scriveva proprio Guterres. Dall’inizio dell’offensiva in Libia il 4 aprile del 2019, centinaia di persone intercettate in mare sono state mandate nei centri del Direttorato anti-immigrazione e in centri non ufficiali controllati dalle milizie. Altre sono scomparse dopo lo sbarco: «Richieste di localizzare queste persone non hanno ricevuto risposta da parte del Governo di Accordo Nazionale», afferma il rapporto dell’Onu.
Intanto nel Mediterraneo un altro gommone è stato avvistato con 80 persone a bordo in area di competenza maltese. Pur allertate dall’aereo di Sea Watch, le autorità de La Valletta sono intervenute a sera dopo 12 ore dalla richiesta di aiuto. Anche la Ocean Viking ha inviato a Malta e Italia la richiesta di un porto sicuro (Pos) per sbarcare i 218 migranti che si trovano a bordo.