lunedì 3 marzo 2014

​Un emendamento di D'Attorre (Pd) cancella dall'Italicum ogni riferimento al Senato. Fi insorge: incostituzionale.
Governo Renzi, scoppia il caso Gentile (Ncd)

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Un emendamento per abolire l'articolo due dell'Italicum e cancellare dalla legge elettorale le norme sul Senato. È stato presentato dal deputato Pd Alfredo D'Attorre, come "terreno possibile di mediazione" sul testo. La proposta di modifica, simile ad altre già depositate, "elimina anche dal titolo della legge ogni riferimento al Senato". "Credo che un'intesa ampia ci possa essere - afferma D'Attorre - Aspettiamo di sapere se Fi è d'accordo sull'emendamento: dimostrerebbe così di essere seriamente impegnata nella riforma del Senato". L'emendamento D'Attorre di fatto "superebbe" quello del senatore Giuseppe Lauricella, che stabilisce che la nuova legge elettorale entra in vigore solo dopo l'approvazione della riforma costituzionale del Senato. L'emendamento, oltre ad essere firmato dagli esponenti della minoranza interna e da Rosy Bindi, è stato ripresentato anche dai deputati di altri Gruppi: Sel, Ncd, Pi, Cd e dagli ex grillini. Ma la nuova proposta sarebbe frutto di un accordo tra Renzi e Alfano per evitare che si vada subito alle urne come il Nuovo centrodestra teme. Forza Italia non è d'accordo e teme che il patto siglato da Renzi e Berlusconi possa venire adesso stravolto. Il presidente dei deputati Renato Brunetta ha fatto sapere che la proposta D'Attorre è irricevibile. "Cambiare la legge elettorale solo per la Camera creerebbe solo caos, caos che la Corte Costituzionale non potrà far altro che dichiarare illegittimo alla prima occasione" ha detto sottolineando come la richiesta di una riforma elettorale a metà sia "l'ennesimo ricatto a cui dovrà rispondere il neo Presidente del Consiglio, che non può tornare indietro rispetto a quanto già annunciato e pattuito con le maggiori forze politiche". Dopo due rinvii l'aula della Camera comincerà finalmente ad affrontare la riforma elettorale martedì pomeriggio, con la possibilità di approvarla entro pochi giorni. Ma la condizione rimane lo scioglimento dei nodi politici, a partire appunto da quello del rapporto tra questa riforma e quella costituzionale del Senato, che ha come conseguenza la durata della legislatura. Un banco di prova per Matteo Renzi, sia come premier che come segretario del Pd, visto che alcune insidie vengono proprio dalla sua minoranza interna. Parlando al Senato per la fiducia, lunedì scorso, Renzi ha ribadito l'importanza della riforma elettorale: "il testo è pronto per essere approvato alla Camera e lo consideriamo non solo una priorità, ma una prima parziale risposta all'esigenza di evitare che la politica perda ulteriormente la faccia". La Camera ha programmato 26 ore di dibattito quindi il voto sui 270 emendamenti (entro domani alle 12 se ne potranno presentare altri) potrebbe davvero concludersi tra la fine di questa settimana e quella successiva. Il problema, però, non sono i tempi, bensì il fatto che alcuni dei contraenti dell'accordo, mettono in discussione ciascuno questo o quel punto del testo. Ncd insiste sull'introduzione delle preferenze, mentre i partiti centristi della coalizione (Udc, Pi, Sc) chiedono un abbassamento delle soglie di sbarramento (il 4,5% per i partiti in coalizione e l'8% per quelli che corrono da soli). C'è poi una richiesta bipartisan di introdurre le quote rosa e soprattutto ci sono gli emendamenti della minoranza interna del Pd, su alcuni dei quali si è catalizzato il consenso di altri partiti.
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