Un termoscanner in azione all’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma - Ansa
1 Quali sono i tempi di incubazione del coronavirus di Wuhan? Perché la quarantena è stata fissata a 14 giorni?
Il tempo medio di incubazione del nuovo coronavirus è di 5,2 giorni (si va da un minimo di 48 ore a un massimo di 11 giorni). È la ragione per cui in tutti i Paesi – Italia compresa – si è deciso di fissare a 14 giorni il periodo di quarantena necessario per chi rientra dalla Cina o è entrato in contatto diretto coi malati. Uno studio cinese sostiene che in casi rari, in presenza di pazienti asintomatici, l’incubazione potrebbe arrivare fino a 24 giorni: il dato non desta allarme, tuttavia, perché se privi di sintomi i malati risultano scarsamente contagiosi.
2. Cosa significa che il virus resiste fino a nove giorni sulle superfici degli oggetti? Li rende infetti in ogni caso?
I ricercatori tedeschi della University Medicine Greifswald, mettendo a confronto 22 studi sui diversi coronavirus umani, hanno quantificato in 9 giorni la resistenza dei microbi attivi su superfici inanimate come metallo, vetro o plastica. Questo non significa che toccare le superfici equivalga matematicamente a un contagio. Per altro, gli stessi microbi possono essere inattivati in modo efficiente in meno di un minuto attraverso la disinfezione delle superfici con alcol o candeggina. O attraverso il lavaggio accurato delle mani.
3. Chi è contagioso? I pazienti asintomatici possono trasmettere il virus? E come avviene concretamente il contagio?
Il coronavirus è tanto più contagioso quanto più alta è la sua carica virale: questo significa che più i pazienti mostrano i sintomi della malattia – con febbre, tosse, raffreddore, congiuntivite –, più è facile che la trasmettano. Il contagio avviene principalmente attraverso le vie respiratorie: le goccioline emesse attraverso un colpo di tosse o uno starnuto raggiungono 2 metri di distanza dalla persona infetta e restano in aria fino a un minuto. Altro veicolo di contagio, le superfici contaminate: ci si infetta attraverso le mani, poi portate al viso.
4. In che modo viene curato al momento il virus? Che tempi serviranno per realizzare un vaccino?
Oltre alla terapia di supporto (idratazione e ossigeno, in caso di difficoltà respiratorie), da qualche giorno per la cura del coronavirus vengono impiegati anche degli antivirali. Allo Spallanzani sui due pazienti cinesi si stanno usando il Lopinavir/Ritonavir e il Remdesivir: sono due farmaci utilizzati congiuntamente per la terapia anti-Hiv, con successo nell’attenuazione dei sintomi. Per un vaccino, al momento già testato sui topi in Cina, servirà tempo: dai 3 mesi stimati ottimisticamente da alcuni virologi americani ai 18 previsti dall’Organizzazione mondiale della sanità.
5. Perché lo stesso virus in alcuni casi uccide o scatena la polmonite e in altri soltanto lievi sintomi?
I casi italiani allo Spallanzani sono esemplari: i due pazienti cinesi risultati positivi al coronavirus sono in terapia intensiva, con la polmonite, mentre il giovane ricercatore contagiato sta bene e non ha nemmeno la febbre. Le ragioni delle diverse reazioni al virus sono tre: la risposta del sistema immunitario (che varia da persona a persona), la presenza di condizioni pregresse di fragilità fisica e, nuovamente, la carica virale con cui si è stati contagiati (se bassa i sintomi saranno lievi, se alta saranno più seri).
6. Perché ci sono dubbi sui numeri reali del contagio? Il virus sta facendo più vittime? Ed è vero che crescono anche le guarigioni?
Si stima che il numero reale dei contagi da coronavirus sia più alto di quello ufficiale non perché la Cina stia nascondendo i dati, ma per i suoi sintomi sovrapponibili a quelli dell’influenza: è facile supporre, cioè, che le persone con sintomi lievi (tosse o raffreddore) non si siano presentate in ospedale, sebbene contagiate. Per altro a Wuhan, epicentro dell’epidemia, mancano i kit per le diagnosi. Lo stesso discorso vale per i guariti, oltre 4.300 persone dimesse dagli ospedali: sono in costante aumento (si è passati dall’1,3% del 27 gennaio all’8,2%), ma si stima siano molte di più proprio in ragione di diagnosi e ricoveri mancati.