giovedì 2 luglio 2009
Procura: quadro complesso. Un investigatore: difficile distinguere i danni provocati dall’esplosione dagli altri
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È tutto provvisorio in questa tragedia. Il numero dei mor­ti, l’identificazione delle vittime, le cause del disastro. I decessi sono saliti a 17 e i medici, stremati da turni sen­za sosta, preventivano un bilancio peggiore. Per molti si do­vrà fare l’esame del Dna, mentre i parenti non sanno se pian­gere in ospedale, dove ci sono alcuni cadaveri, o in obitorio dove giacciono altri resti senza nome. I primi funerali po­trebbero svolgersi già questo fine settimana. È come se il drago accasciato sui binari non sia ancora esa­nime. I vigili del fuoco ieri pomeriggio non se la sentivano di dichiarare al sicuro l’area devastata dalla deflagrazione. Per ore tecnici delle ferrovie e pompieri hanno sfidato la sorte co­me in una roulette russa. «Una mossa sbagliata, basta farsi vin­cere dalla stanchezza, basta un nonnulla e di noi non reste­rebbero neanche gli stracci», ammettono. Ogni cisterna con­tiene 45 tonnellate di gas liquido. Per alcune il travaso è im­possibile, così è stato deciso di provocare incendi controlla­ti, in modo da bruciare lentamente tutto il combustibile. «Lo svuotamento delle cisterne è tecnicamente concluso - ha spiegato il comandante dei vigi­li, Giuseppe Romano - , nel senso che il travaso di gpl è finito e ora siamo in una fase di riduzione della pressione, in cui il livello di rischio è molto meno elevato. En­tro mezzanotte o l’una (di ieri, n­dr) finiremo». Con circospezione intorno al convoglio maledetto girano bio­chimici ed esperti che dovranno fornire le prime perizie alla pro­cura della Repubblica. L’inchie­sta è condotta da polizia e vigili del fuoco, coordinati dal procu­ratore di Lucca, Aldo Cicala e dal pm Giuseppe Amodeo. I magistrati ieri sono stati a lungo a colloquio con periti e po­lizia. «Il quadro è complesso e le indagini saranno approfon­dite anche su tutte le altre ipotesi possibili», spiegano gli in­vestigatori. Il cedimento strutturale potrebbe non essere sta­to la causa principale della strage. Qualcosa potrebbe essere accaduto ben prima che il convoglio entrasse nello scalo via­reggino. Secondo i vertici delle Ferrovie e i tecnici del ministero dei Tra­sporti il primo dei carri agganciati alla motrice presentava «un asse fessurato e parzialmente corroso dalla ruggine, dun­que, già da tempo compromesso».Il convoglio era partito da Trecate (Novara) ed era destinato ad una azienda del Caser­tano di proprietà del sottosegretario all’Economia, Nicola Co­sentino. I due macchinisti che a Viareggio sono riusciti a sfug­gire alla morte, avevano da poco dato il cambio ai colleghi par­titi dal Piemonte e fermatisi a La Spezia. Proprio il segretario dei macchinisti Cgil di Novara avanza dei dubbi: «Se davve­ro quell’asse fosse stato così malconcio già alla partenza, l’in­cidente – ci spiega – avrebbe dovuto verificarsi nel tratto A­lessandria- Genova, uno dei percorsi più difficili e impegna­tivi, tutto in discesa, e che in passato ha messo in crisi anche materiale ferroviario nuovo di zecca». Dubbi espressi anche dall’ingegner Romano, il comandante dei vigili del fuoco di Firenze che sta coordinando le operazioni a Viareggio: «Asse rotto? Può darsi». Come dire che non c’è nulla di certo. «È pre­sto e difficile – riferisce un esperto della polizia – distinguere i danni provocati al treno dall’esplosione e quelli avvenuti prima, quando il mezzo era in marcia». Fondamentale, a que­sto punto, quanto dichiarato ai magistrati da Roberto Fo­chesato e Andrea D’Alessandro, i due macchinisti sopravvis­suti. Nella loro prima deposizione hanno spiegato di aver sen­tito che il treno vibrava, «ci siamo affacciati dal finestrino e abbiamo visto che la cisterna dietro non era allineata, abbia­mo azionato il freno d’emergenza e subito siamo stati assa­liti dal gas». Il gpl si era riversato a terra allo stato liquido men­tre altro gas si vaporizzava. Una corsa a perdifiato. «Gas dap­pertutto, ci abbiamo camminato sopra fino a quando ci sia­mo gettati dietro a un muretto». Poi hanno avvertito i volon­tari della Croce verde che si erano affacciati in strada. «Scap­pate, salta tutto». Ed è saltato tutto. L’innesco non possono essere state le scintille dei freni. Alla ricostruzione della di­namica, dunque, manca ancora qualcosa. Quando è sera dall’autostrada arrivano due container frigo­riferi: verranno trasferite lì le salme in attesa di identificazio­ne. La città ormai è al sicuro. Più delle parole lo dice un’immagi­ne. Tre operai lasciano la stazione. Indossano una tuta aran­cione con strisce catarinfrangenti. Sono sporchi di fumo. l’e­spressione stanca di chi non dorme da due notti, ma felice di chi sa che tornerà a casa sulle proprie gambe. Alle loro spal­le c’è quel che resta del treno e di un quartiere. Uno di loro e­strae un pacchetto di sigarette, ne passa una ad ogni collega. Poi, con un gesto lento, aziona l’accendino guardando le ci­sterne finalmente vuote. Il drago sui binari è stato domato.
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