Sarebbe stato bello. Che meraviglia se la storia delle torture ai migranti fosse stata una bufala. Ne avrebbero gioito le persone buone, consolate come chi si desta da un brutto sogno. Ne avrebbero goduto gli smascheratori di presunti scoop (glorificati per la loro impietosa opera di pulizia) e chi pratica lo squadrismo giornalistico in ossequio di un redivivo Min-CulPop (apprezzato per il silenziare la voce stonata di chi fa buona informazione).
Purtroppo la circostanza è drammaticamente vera, testimoniata da materiale video che nemmeno Quentin Tarantino si sentirebbe di proporre al proprio pubblico: filmati come quelli i cui fotogrammi – per rigida deontologia e linea editoriale a tutela dei lettori – sono stati sostituiti con le immagini di repertorio che hanno scatenato le polemiche di questi giorni. L’attenzione collettiva si è così spostata dai fatti alla loro rappresentazione.
La foto non corrisponde al video, le torture non ci sono: questo il ragionamento che ha fatto immediatamente presa sulla medesima gente che – dopo essersi ripetutamente ubriacata di 'fake news' – ha voluto palesare la propria sobrietà esibendosi in prove di equilibrio su un piede solo. Nonostante le 'porcherie' commesse da alti funzionari dello Stato e gli inqualificabili comportamenti di chi sfrutta biecamente il business dell’accoglienza, il nostro Paese continua a rappresentare un approdo ideale per chi fugge dall’inferno al di là del Mediterraneo.
La Libia – che non ha dimenticato la nostra occupazione coloniale e la partnership italiana nella capitolazione del regime di Gheddafi – non rappresenta un interlocutore affidabile e qualunque accordo zoppica in ragione della policefala gestione del potere politico locale. Soprattutto non è il 'porto sicuro' cui indirizzare i disperati che ne sono fuggiti e che non hanno voce per raccontare – a mutuare il replicante Roy Batty nel 'Blade Runner' di Ridley Scott – 'cose che voi umani non potreste immaginare'. Nemmeno il colpo di mortaio caduto ieri in prossimità della nostra ambasciata italiana a Tripoli servirà a capire l’instabilità e l’incertezza di quel fronte. Con la scusa delle 'foto false' (e le due pubblicate da 'Avvenire' non possono essere definite tali per una didascalia errata) c’è chi continuerà ad etichettare come 'crociere' le spaventose traversate e 'una pacchia' il soggiornare in certi inqualificabili lager dalle nostre parti.
Mentre in Libia ogni attività ispettiva degli organismi internazionali è impedita e continuano a consumarsi atrocità inenarrabili, continua la 'caccia al negro' che tanto entusiasma i mancati adepti di un Ku Klux Klan de noantri. I problemi – tutti irrisolti – del Paese passano in secondo piano. L’importante è far crescere il consenso, poco importa se è quello di una folla furente e incontrollabile. Per incrementare l’approvazione popolare il delegittimare (e un domani lo zittire) la stampa scomoda è un passaggio obbligato. Basta saperlo. E magari spiegarlo a chi si conosce. Una sorta di vaccinazione, anche se pure questa – come la verità – non va di moda.
Generale GdF (r) - già comandante del GAT Nucleo Speciale Frodi Telematiche