Il rinvio del pareggio di bilancio al 2017 e le riforme ancora in cantiere riportano in superficie, nel giorno in cui è la Francia di Hollande a ribellarsi per prima, anche il contrasto fra Bruxelles e l’Italia. Per il governo Renzi si avvicina il giorno degli esami (con parecchi compiti ancora da fare) e la Commissione Ue gli ricorda che «gli impegni presi vanno rispettati». È un richiamo ancora blando, per ora, ma che infiamma una giornata che vede aprirsi in serata il summit della Bce, fissato a Napoli nell’ambito della presidenza italiana della Ue. Sono tutti nella città partenopea, per il via informale all’attesa riunione: prima l’incontro a Villa Rosebery fra Giorgio Napolitano, il nostro capo dello Stato, e il direttivo della Bce (e Napolitano poi s’intrattiene per un’altra mezz’ora con Mario Draghi, il presidente dell’Eurotower), poi la cena a Palazzo Reale. Napolitano approfitta dell’occasione per levare la sua voce, sottolineando che «la sfida numero uno è quella di aprire un nuovo sentiero di forte e sostenibile crescita in Europa». Per fugare la prima preoccupazione, che resta la «disoccupazione». È un pungolo alle autorità europee a invertire la rotta, prima di ribadire ancora una volta che, comunque, l’Italia farà la sua parte e «ce la farà». Draghi ascolta, prende nota ma, in attesa della battaglia odierna a livello di banchieri centrali, richiama l’Italia a non deragliare dal percorso intrapreso. «Solo le riforme strutturali, che aumentano la crescita potenziale e quindi la sostenibilità del debito – ricorda ancora una volta Draghi –, possono creare i margini per usare in futuro la politica di bilancio» in funzione pro-crescita. Sono le politiche suggerite per tutta l’Ue, ma che «sono anche, e forse specialmente, valide per l’Italia». È un’azione a 360 gradi, fra gli sforzi per rilanciare la crescita e quelli per evitare la deflazione, che spingono super-Mario anche a una confessione semi-amara: «È una fatica erculea». È una giornata in cui gli avvertimenti europei si mischiano alle preoccupazioni nazionali. Che emergono con forza dalle parole del testo con cui Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, accompagna il Def 'peggiorativo' (nelle stime) appena varato. Padoan parla di una crisi che in Italia è stata «superiore a quella della Grande depressione del 1929», aggiunge che «l’area dell’euro è a un bivio» con i Paesi più deboli che in assenza di interventi «rischiano di avvitarsi in una spirale di stagnazione e deflazione». Ma sono i toni finali quelli più allarmati: senza una ripresa, «la tenuta del tessuto produttivo e sociale risulterebbe a rischio, la ricchezza delle famiglie minacciata, le prospettive dei giovani compromesse». Si guarda alle mosse della politica monetaria, ma l’altro occhio resta rivolto allo scontro fra rigore e flessibilità invocata nei bilanci degli stati. È una partita che a ottobre vedrà giocarsi partite decisive a Bruxelles, dove comunque non è ancora chiaro quale Commissione giudicherà la Legge di stabilità. Ieri a esprimersi è stato comunque il portavoce del commissario agli Affari economici ancora in carica, il 'falco' finlandese Jyrki Katainen: «Valuteremo il progetto della legge italiana alla luce degli impegni presi nelle raccomandazioni, la nostra posizione è che gli impegni vanno rispettati», ha detto ribadendo una posizione nota, che potrebbe cambiare solo se la nuova Commissione accordasse all’Italia quelle circostanze eccezionali invocate dal ministro Padoan, cioè la recessione in cui è ripiombata l’Italia. Intanto, proiettato suo malgrado nell’agone politico da una Bce resa dalla crisi più protagonista che mai, Draghi invita i Paesi dell’Eurozona a considerarsi come una 'famiglia'. Che però deve ancora trovare l’intesa su come rimettersi in carreggiata.