Chissà perché la vita umana nascente genera polemiche invece della istintiva e corale tutela che sarebbe naturale. Intendiamoci: a prendersela con chi la promuove sono presenze circoscritte, ma la loro voce spesso sembra levarsi incontrastata, senza che ci si preoccupi di ascoltare anche chi con impegno volontario, mezzi risicati e dedizione trasparente si fa interprete della maggioranza silenziosa che a una mamma in attesa del suo bambino continua a guardare con affetto e simpatia.
È accaduto ancora una volta nei giorni scorsi, teatro uno dei maggiori supermercati di Padova, il punto vendita di via Chiesanuova che fa capo ad Alì, catena italiana della grande distribuzione, uno dei marchi più noti e popolari. Nel periodo natalizio il supermercato ha attivato la raccolta fondi solidale «We love people» offrendo alla clientela di destinare per ogni 10 euro di spesa un gettone a una delle associazioni individuate per l’iniziativa, in modo che poi venisse devoluta una somma a ciascuna di quelle preferite dai clienti. Una cosa bella e positiva, non fosse che tra i destinatari della colletta c’era anche il Movimento per la Vita padovano.
Alle militanti della sigla «Non una di meno», che annovera tra le sue campagne storiche il sostegno al “diritto di abortire”, l’idea è apparsa intollerabile, tanto da spingerle ad attaccare frontalmente sia Alì che un’associazione (locale e nazionale) che non fa altro che impegnarsi a sostegno delle maternità difficili a causa di povertà, emarginazione, pressioni sociali, familiari e lavorative. Così il Movimento per la Vita, che realizza un’opera di integrazione e sostegno in supplenza delle istituzioni, è entrato nel mirino delle attiviste, che tramite i loro profili social hanno diffuso una nota dai toni aspri contro la proposta del supermercato, dipingendo i volontari per la vita con toni sprezzanti che – per paradosso – finiscono per mostrare le opere realizzate accanto alle mamme e non solo: il Movimento, recita il post di denuncia, «si impegna nella “difesa del valore della vita dal concepimento alla morte”», e lo fa «attraverso varie iniziative di educazione sessuo-affettiva in consultori, ospedali, scuole e anche attraverso il sostegno economico, psicologico e medico fornito alle donne in gravidanza al fine di convincerle a non abortire».
Ma a “Non una di meno” questa attività non piace, tanto da sostenere che «se questi gruppi ci tenessero davvero alla vita, così come dicono, lotterebbero per un aborto libero, sicuro e gratuito. Perché aborto illegale significa rischiare di morire». Argomento ardito (in Italia gli aborti non sono certo vietati) che spinge a invitare al boicottaggio del supermercato nel quale per Natale si è osato promuovere la vita umana.
Da giorni Marcello Vinci, avvocato e presidente del Movimento per la Vita di Padova, si sgola (invano) per farsi ascoltare dai media che hanno dato risalto alla sola versione delle militanti pro-aborto: «Da quando siamo attivi, nel 1978, a oggi – ci spiega – grazie al supporto fattivo del Centro aiuto alla vita di Padova sono nati 2.737 bambini, sono state assistite 3.849 gestanti e 10.037 altre donne, oltre a migliaia di famiglie bisognose, provenienti da tutto il mondo, offrendo anche ospitalità in case di accoglienza o presso famiglie. Il nostro unico obiettivo è aiutare ad accogliere una nuova vita». Un impegno che al Movimento padovano sta costando caro: la campagna di “Non una di meno” segue infatti l’imbrattamento della sede l’8 marzo scorso con scritte come «Aborto ed eutanasia liberi». E la libertà di difendere la vita?