Dal "garage" della Leopolda Matteo Renzi prende il martello e inizia la sfida a distanza con la Cgil: «Massimo rispetto. Ma sono finiti i tempi in cui una manifestazione blocca un governo. Ascoltiamo il milione di persone che va in piazza San Giovanni, ma anche gli altri 60 che stanno a casa. Noi non molliamo di un centimetro». Ha voglia, il premier, a dire che non cerca scontri e polemiche. La natura del "pazzo sabato" della sinistra italiana non offre alternative. E la giornata mette a disposizione di Renzi elementi per considerare "ostile" il corteo di Cgil e Fiom: «Non stupisce che Nichi Vendola abbia annunciato lui lo sciopero generale, è una piazza di protesta sindacale, ma anche politica contro di me». La Leopolda, invece, «proposta e non protesta», spiega il premier. Il guanto di sfida arriva dopo una giornata vorticosa. Renzi scende dall’aereo che l’ha riportato da Bruxelles, corre nell’ex stazione simbolo della sua ascesa politica per dialogare in diretta col tg di Enrico Mentana. Alle sue spalle, in platea, almeno 700 persone. Oltre 2mila hanno varcato i cancelli per la cena. Altre 3mila sono attesi tra oggi e domani. E tra loro, mille hanno chiesto di intervenire dal palco per sentirsi "renziani doc". A tutti, Renzi racconta così la parabola che l’ha portato a Palazzo Chigi: «La Leopolda del 2011 mi ha fatto capire che questo Paese era scalabile. Siamo partiti da zero, ci siamo presi il partito, siamo al governo, stiamo facendo quello che volevamo, abbiamo smentito tutti. Ma non serve a niente, se non smentiremo il luogo comune che l’Italia è irriformabile, lo pensano a Bruxelles, a Roma, dietro l’angolo, sono dovunque». Il premier non nasconde l’amarezza: «Noi non perderemo, nel nostro disegno di cambiare l’Italia, ma ogni istante capita di prendersi delle palate in faccia, che fanno male». La sua testa è a Roma, all’asse Camusso-Landini, che pensa di proclamare il primo sciopero generale dopo 26 anni. Una deriva che Renzi avrebbe voluto evitare, ma se davvero la sinistra sindacale dovesse provare a paralizzare il Paese, lui ha in tasca il dissenso di Cisl e Uil e la chiave comunicativa per ribaltare la paura in consenso: «Facciano pure, noi vogliamo cambiare».E così oggi sarà una sfida tra i nuovi simboli e quelli della piazza. Il garage alla Steve Jobs contro le bandiere rosse, il rock contro "Bella ciao", i manifesti anti-gufo (la Leopolda è rivestita da 10 posteroni in cui si ricordano le bocciature di "vecchi soloni" ai Beatles, a Marylin, a Walt Disney...) contro i toni da comizio. Ma il premier non banalizza chi sfilerà a san Giovanni: là non ci saranno solo pensionati, ma anche precari e disoccupati che non hanno compreso le sue riforme. Il significato del "pazzo sabato" va oltre il tentativo di trasformare la Leopolda nel primo test del partito della Nazione. La
leadership di Maria Elena Boschi, l’esordio di Gennaro Migliore, di pezzi di Scelta civica e dei "giovani turchi", tutto finirà nell’ombra perché alla fine riecheggeranno solo le parole di Renzi, Camusso e Landini. Quasi la premonizione di uno scontro futuro tra un partito interessato anche al voto di centro e una nuova formazione di sinistra. E occhio a domani, quando nell’ex stazione si presenteranno il segretario cittadino della Fiom e i lavoratori dell’Ast di Terni. «Vediamo se ascolta tutti come dice», è la loro sfida.