Sessanta giorni per recuperare 1,4 miliardi a livello locale, «oppure interveniamo noi» ha promesso Matteo Renzi a sindaci e governatori. È suonato come un ultimatum inaspettato, soprattutto alle orecchie dei suoi ex "colleghi" primi cittadini, il messaggio lanciato dal presidente del Consiglio durante la presentazione del decreto sul bonus Irpef. Nella partita dei tagli alla spesa lanciata da Palazzo Chigi, è certamente questo il capitolo più controverso e sorprendente. Perché rinvia la "stretta" sugli acquisti di beni e servizi per due terzi a provvedimenti che dovranno essere emanati da Comuni e Regioni (rispettivamente 700 milioni a testa) e per un terzo, quello di competenza statale, a un decreto di Palazzo Chigi.Nel merito, la situazione è ancora più complicata: dai primi approfondimenti fatti dall’Anci, l’associazione dei Comuni, sembra che la somma da raggiungere debba essere suddivisiva in parti uguali tra province e città metropolitane da una parte e centri di medie e piccole dimensioni dall’altra. In tal modo, però, i sacrifici richiesti a questi ultimi sarebbero più alti, vista la massa d’urto che insieme i grandi centri e le province (prossime alla prevista "abolizione") rappresentano. Tagli minori per chi è più grande, dunque, e una partecipazione ai costi più alta per chi risiede in paesi di minori dimensioni. L’altro rischio è rappresentato dalle procedure, a quanto pare assai farraginose, richieste per individuare le razionalizzazioni da fare nell’uso di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione.«Il messaggio inviato agli enti locali da parte dell’esecutivo è stato molto chiaro: trovate al più presto 700 milioni, altrimenti arriveranno tagli lineari. A questo punto, il rischio di un aumento dell’imposizione su base locale è concreto» commenta Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma. Tutto potrebbe avvenire anche a prescindere dall’incremento della Tasi, la tassa municipale che potrebbe vanificare, secondo alcuni studi, l’effetto bonus in arrivo con gli 80 euro di fine maggio. «In 60 giorni vanno individuati spazi di intervento selettivi ed efficaci – continua De Nardis – e i vincoli sono molto stretti. A livello regionale, ad esempio, la spesa sanitaria è già stata notevolmente ridimensionata negli anni passati e ora c’è bisogno di salvaguardare un’offerta di buona qualità da parte del servizio pubblico». «È vero – gli fa eco il parlamentare di Scelta Civica, Paolo Vitelli –. La sanità italiana ha un livello leggermente migliore rispetto alla media europea e costa un po’ meno. I risparmi si possono fare solo in sede di acquisti, attraverso una serie di razionalizzazioni e la centralizzazione delle procedure».Quanto agli sprechi su cui agire, due fronti sono stati individuati per i Comuni: uno riguarda il trasporto pubblico locale, «dove abbiamo le tariffe più basse del Vecchio continente per passeggero e il contributo più alto alle aziende cittadine da parte dello Stato» sottolinea Vitelli. Aggregare i soggetti migliori, premiare chi è più efficiente, applicare la logica dei cosiddetti costi standard può essere una soluzione che, da qui, si estende poi a tutto il settore delle municipalizzate, che Renzi vuole portare da 8mila a un migliaio in tutta Italia. È questione di priorità, di ridefinizione dei parametri di spesa e di attenzione alle richieste del territorio. «Ci riserviamo di avanzare proposte emendative e correttive laddove le misure ci appaiano inefficaci o inutilmente penalizzanti per gli enti locali» ha dichiarato settimana scorsa il presidente dell’Anci, Piero Fassino. Da qui all’inizio dell’estate, termine in cui scade l’ultimatum di Renzi, l’ex sindaco e i suoi colleghi di un tempo avranno molte cose da chiarire.