Approdo di migranti al porto di Roccella Jonica - Ansa
«Non c'è un numero standard da aumentare o diminuire. Quello che serve, uno lo richiede e cerca di portarlo». È il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, impegnato al VinItaly, a confermare come il governo non abbia ancora individuato una cifra sulla quale assestarsi per fissare la quota di d’ingressi legali per lavoratori stranieri (che il dl Cutro ora organizza su base triennale).
La discussione nell’esecutivo dunque va avanti, in parallelo con la trattativa in corso al ministero del Lavoro con le parti sociali e le associazioni imprenditoriali, chiamate a fornire al governo una stima delle persone necessarie nei diversi settori d’impiego.
Intanto oggi a Palazzo Chigi è in programma l’attesa cabina di regia per mettere a fuoco un piano relativo alla gestione dei flussi migratori e all’accoglienza. Al vertice potrebbero prendere parte, oltre alla premier Giorgia Meloni, i due vicepremier e ministri degli Esteri e dei Trasporti, Antonio Tajani e Matteo Salvini, affiancati dai titolari di Intern e Difesa, Matteo Piantedosi e Guido Crosetto. E alcune valutazioni su norme e procedure potrebbero arrivare dal Guardasigilli Carlo Nordio. Nelle stesse ore in Senato dovrebbe riprendere l’esame, in commissione Affari Costituzionali, del decreto Cutro, in corso di conversione in legge. Sul tavolo, 126 emendamenti, fra cui 21 della Lega che puntano fra l’altro a restringere ulteriormente la protezione speciale.
Richieste del mondo agricolo. Chi arriverà non dovrà essere considerato un lavoratore di «serie B», sottolinea ancora il ministro Lollobrigida. «C’è bisogno in Italia, per dare supporto ad alcuni settori, di immigrazione legale - argomenta - e il primo nemico è l’immigrazione clandestina. I nostri imprenditori agricoli hanno bisogno di manodopera esterna, quando manca quella interna». Poi lancia una frecciata: «Non è svilente lavorare in agricoltura» e occorre «sapere quanti percettori del reddito di cittadinanza possano lavorare e metterli in condizioni di farlo in agricoltura, nell'allevamento, nel turismo». Se invece «non vogliono, è legittimo che non prendano il Reddito di cittadinanza e provvedano a se stessi con altri mezzi di sostentamento».
Il piano per l’accoglienza. A Palazzo Chigi la cabina di regia partirà dalle recenti analisi sugli sbarchi dei migranti, valutando come rinforzare la gestione dell’accoglienza. Le stime allarmanti dell’intelligence, sommate al rtmo giornaliero degli arrivi (28.034 dal primo gennaio, a fronte dei 6.832 giunti l’anno scorso nello stesso periodo) fanno temere numeri record a fine anno, su quota 300mila. La premier non vuole che la retorica sulla «invasione», cavallo di battaglia di Lega e Fdi nelle ultime campagne elettorali, le si ritorca contro nei fatti. E così, il ministero dell’Interno sta lavorando a una bozza di piano d’azione, con una decina id punti, che vanno dal potenziamento della rete dei centri di accoglienza all’accelerazione delle richieste di asilo e rimpatrio (si pensa anche a possibili incentivi monetari per i rimpatriabili che accettino di tornare subito indietro). C’è poi la trattativa europea in corso con la Tunisia (caldeggiata da Italia, Francia e Germania) con l’offerta di finanziamenti in cambio di un freno alle partenze dei barconi. La Farnesina, in contemporanea, starebbe chiedendo con discrezione alle autorità tunisine di non rallentare le pratiche di riconoscimento dei propri migranti, indispensabili per avviare le procedure di rimpatrio. Più in generale, si starebbe studiando come velocizzare tanto le procedure di rimpatrio che quelle per le richieste d’asilo.
La rotta balcanica. I Paesi del Balcani occidentali «sono fortemente impegnati nel rinviare i clandestini nei Paesi d’origine». fa sapere intanto il vicepremier Tajani a margine di una riunione alla Farnesina. «Stiamo lavorando per non avere un’eccessiva liberalizzazione dei visti di Paesi extra-europei. E c’è un comune impegno a difendere le frontiere esterne e combattere la tratta di esseri umani».
Un Cpr per Regione. Nella bozza disegnata dal Viminale, c’è il “potenziamento” dei centri di permanenza per i rimpatri. Il ministro Piantedosi ne immagina uno per Regione, una ventina a fronte dei 9 attuali (fra cui Gradisca d’Isonzo, Torino, Roma, Bari, Brindisi, Caltanissetta). L’aumento verrebbe finanziato coi fondi già appostati nella legge di Bilancio, che prevede per il 2024 un aumento di oltre 14 milioni di euro rispetto al passato, per un totale di 46 milioni. Ma non tutte le Regioni sarebbero concordi. «Il Cpr non può essere un luogo detentivo», mette le mani avanti il governatore Toscana Eugenio Giani: «In Toscana non abbiamo bisogno di nuove carceri per chi ha bisogno di essere espulso - osserva -. Sono sicuro che anche su questa materia, quando sarà il momento, ci sarà un confronto costruttivo con le Regioni».